In assenza di operazioni attive è necessario rettificare la detrazione effettuata al momento dell'acquisto

Ordinanza sul ricorso iscritto al n. 33862/2018 r.g. proposto da: xxxx., elettivamente domiciliata in roma [omissis], presso lo studio dell'avvocato [omissis] ([omissis]) che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato [omissis] ([omissis]); - ricorrente - contro agenzia delle entrate, domiciliata in roma [omissis], presso l'avvocatura generale dello stato ([omissis]) che la rappresenta e difende; - controricorrente - avverso sentenza di comm. trib. reg. abruzzo sez. dist. pescara n. 765/2018 depositata il 16.7.2018. udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.2.2025 dal consigliere [omissis]. letta la requisitoria scritta del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale [omissis], che ha chiesto l'accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso. rilevato che 1. l.d.p. impugnò il diniego di rimborso iva relativo al 2009 e la commissione tributaria provinciale (ctp) di pescara accolse il ricorso. 2. il giudice di prime cure respinse le eccezioni dell'agenzia delle entrate, che aveva contestato la mancata presentazione del modello vr e la presentazione dell'istanza di rimborso soltanto in data 27.11.2013, osservando che la contribuente aveva manifestato la volontà di ottenere il rimborso nella dichiarazione dei redditi, cosicché il mancato utilizzo del modello vr non era rilevante né si era verificata alcuna decadenza. 3. l'agenzia delle entrate propose appello contestando la sussistenza dei presupposti per il rimborso e la commissione tributaria regionale (ctr) dell'abruzzo, con la sentenza in epigrafe, accolse il gravame osservando che, avendo la contribuente cessato l'attività e chiuso la partita iva, il bene immobile acquistato per la realizzazione di parcheggi aveva perso la natura di bene d'impresa cosicché la contribuente doveva scontare l'iva versata sull'acquisto, cui si riferiva il credito vantato, come qualsiasi consumatore finale. secondo i giudici del gravame, il terreno doveva essere dismesso dalla contabilità al prezzo storico d'acquisto mediante autofatturazione, così raggiungendo la neutralizzazione dell'iva a credito. 4. avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la d.p. che si è affidata a tre motivi e ha depositato memoria. 5. ha resistito con controricorso l'agenzia delle entrate. 6. il pubblico ministero ha depositato requisitoria scritta. considerato che 1. con il primo motivo si deduce, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c., «violazione della direttiva 2006/112/ce (c.d. direttiva iva) così come modificata dalla direttiva 2009/162/ue - artt. 18, 74. violazione dell'art. 13 del dpr 633/72. violazione della circolare dell'agenzia delle entrate 26/e/2016, per aver violato la commissione regionale il principio della determinazione del valore dei beni nell'ipotesi di autoconsumo per i quali la base imponibile è rappresentata dal valore dei beni al momento dell'effettuazione dell'autoconsumo stesso, attribuendo invece al bene il valore che aveva al momento dell'acquisto negando per tale ragione il rimborso iva per il periodo d'imposta 2009». 2. con il secondo motivo si deduce, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell'art. 30 del dpr n. 633/72 «per aver attribuito alla norma un significato che non ha negando il rimborso dell'iva a credito maturata nell'anno di imposta 2009». 3. dirimente è il secondo motivo (violazione dell'art. 30 del dpr n. 633/72), che assorbe il primo (violazione della direttiva iva e di circolari per la determinazione del valore dei beni nel caso di autoconsumo) ed è infondato alla luce della giurisprudenza unionale (v. cgue, 6 ottobre 2022 in causa c-293/21, uab), secondo cui «gli articoli da 184 a 187 della direttiva iva devono essere interpretati nel senso che un soggetto passivo ha l'obbligo di rettificare le detrazioni dell'iva assolta a monte e relativa all'acquisto di beni o di servizi destinati a produrre beni d'investimento, nell'ipotesi in cui, a causa della decisione del proprietario o dell'azionista unico di tale soggetto passivo di mettere quest'ultimo in liquidazione, nonché della domanda e dell'ottenimento della cancellazione di detto soggetto passivo dal registro dei soggetti passivi iva, i beni d'investimento creati non siano stati utilizzati, né lo saranno mai, nell'ambito di attività economiche soggette ad imposta. i motivi che consentono di giustificare la decisione di messa in liquidazione del medesimo soggetto passivo e, pertanto, la rinuncia alla prevista attività economica soggetta ad imposta, quali perdite in costante aumento, l'assenza di ordinativi e i dubbi dell'azionista del soggetto passivo riguardo alla redditività dell'attività economica prevista, non incidono sull'obbligo di quest'ultimo di rettificare le detrazioni dell'iva di cui trattasi, qualora tale soggetto passivo non abbia più l'intenzione, e ciò in maniera definitiva, di utilizzare detti beni d'investimento ai fini di operazioni soggette ad imposta». 3.1. in sostanza tutte le considerazioni del pubblico ministero incentrate sulla disciplina dell'"autoconsumo" e sulla determinazione della «base imponibile dell'operazione in caso di cessazione dell'attività economica imponibile», non colgono nel segno in quanto in questo caso non vi è mai stato il compimento dell'attività prevista: è incontroverso che la d.p., che aveva aperto la partita iva in data 25 luglio 2007 e aveva acquistato in data 3 agosto 2007 l'immobile in questione al fine di destinarlo a parcheggio privato, avuto l'esito sfavorevole del giudizio davanti al tar contro il provvedimento del comune di pescara che inibiva i lavori, poiché l'immobile era vincolato a "verde pubblico", aveva chiuso la partita iva in data 25 novembre 2009, limitandosi a fatturare a sé stessa, per autoconsumo, l'immobile. 3.2. la vicenda rientra esattamente nella fattispecie di cui al precedente unionale sopra indicato, ove si rammenta, altresì, «che la corte ha, da un lato, stabilito che il meccanismo di rettifica previsto agli articoli da 184 a 187 della direttiva iva costituisce parte integrante del sistema di detrazione dell'iva istituito da tale direttiva e ha lo scopo di stabilire una relazione stretta e diretta tra il diritto alla detrazione dell'iva pagata a monte e l'utilizzo dei beni o dei servizi di cui trattasi per operazioni soggette ad imposta a valle. dall'altro lato, la corte ha ricordato che, quando beni o servizi acquistati da un soggetto passivo sono utilizzati ai fini di operazioni esenti o non rientranti nell'ambito di applicazione dell'iva, non può esservi né riscossione dell'imposta a valle, né detrazione dell'imposta a monte (ordinanza del 18 maggio 2021, skellefteà industrihus, c-248/20, eu:c:2021:394, punto 42 e giurisprudenza ivi citata)» (cgue, cit., uab, punto 45). 3.3. pertanto, «se il soggetto passivo non intende più utilizzare i beni o i servizi in questione per realizzare operazioni soggette ad imposta a valle o li utilizza per effettuare operazioni esenti, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la relazione stretta e diretta che deve sussistere tra il diritto alla detrazione dell'iva pagata a monte e la realizzazione di operazioni soggette ad imposta previste è interrotta, e ciò deve comportare l'applicazione del meccanismo di rettifica previsto agli articoli da 184 a 187 della direttiva iva (v., in tal senso, ordinanza del 18 maggio 2021, skellefteà industrihus, c-248/20, eu:c:2021:394, punti 45 e 46 e giurisprudenza ivi citata)» (cgue, cit., uab, punto 48). 3.4. in altri termini, il diritto alla detrazione viene meno qualora si interrompa «la relazione stretta e diretta» tra il diritto alla detrazione dell'iva pagata per l'acquisto di beni a monte e la realizzazione di operazioni soggette ad imposta previste, come avviene quando risulti che «il soggetto passivo interessato non ha più alcuna intenzione di utilizzare i beni d'investimento creati ai fini di operazioni soggette ad imposta, e ciò in maniera definitiva» (cgue, cit., uab, punto 49); questo si è verificato nel caso in esame, in cui all'«unica operazione di acquisto» (v. controricorso) non aveva fatto seguito lo svolgimento di alcuna operazione imponibile ma il soggetto passivo aveva retrocesso a sé con autofattura il bene acquistato e aveva cancellato la partita iva. 3.5. questi principi trovano immediato riscontro nella disciplina del rimborso dell'eccedenza dell'imposta detraibile previsto dall'art. 30, comma 3 (ora comma 2), lett. c), del dpr n. 633/72, configurata come strumento per detassare le operazioni avvenute nel ciclo produttivo (cass. n. 13315 del 2013). la ratio sta nell'agevolare l'imprenditore che compie investimenti produttivi, ossia materialmente e durevolmente funzionali ad incrementare, o migliorare, o in limine favorire, le potenzialità dell'attività d'impresa. la produttività degli investimenti segna quindi la causa, e nel contempo la misura ed il limite, del diritto al rimborso del soggetto passivo, al quale è accordato il vantaggio di rientrare immediatamente dell'imposta, recuperando sin da subito, per il corrispondente ammontare, mezzi di finanziamento utili all'attività (in termini, cass. n. 33229 del 2024, punto 6.3.3.; in linea, cass., ss.uu., n. 13162 del 2024). 4. con il terzo motivo si deduce, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell'art. 7 della l. n. 212/2000 e dell'art. 3 della l. n. 241/90 perché erroneamente la ctr aveva dato accesso ad argomentazioni che si risolvevano in una modifica radicale e sostanziale della motivazione del provvedimento. 4.1. il motivo è infondato. 4.2. in tema di rimborso dell'iva versata in eccesso, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall'art. 57, comma 2, del dlgs. n. 546 del 1992 a carico di entrambe le parti, non è violato dalle argomentazioni con cui l'amministrazione finanziaria, soccombente in primo grado, neghi la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto dal contribuente, o la qualificazione ad essi attribuita, trattandosi di mere difese e, come tali, non soggette ad alcuna preclusione processuale (cass. n. 35042 del 2023; cass. n. 23862 del 2020). 5. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese liquidate come in dispositivo vanno regolate secondo soccombenza. p.q.m. rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del dpr n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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