L'art. 6 co. 6 del dlgs. 471/97, qualora venga detratta l'iva nel caso di errata applicazione della relativa  aliquota, riconosce al cessionario e/o committente il diritto a detrarre l'imposta nei limiti del dovuto e non per l'intero ammontare versato.   

Sentenza sul ricorso iscritto al n. 17678/2021 r.g. proposto da: xxxx in liquidazione e concordato preventivo, elettivamente domiciliata in roma [omissis], presso lo studio dell'avvocato [omissis], che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato [omissis]; - ricorrente - contro agenzia delle entrate, domiciliata in roma via dei portoghesi 12, presso l'avvocatura generale dello stato [omissis] che la rappresenta e difende; - controricorrente - avverso la sentenza di ctr milano n. 3165/2020 depositata il 23.12.2020. udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.10.2024 dal consigliere [omissis]. udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale [omissis], che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. uditi l'avv. [omissis] per la ricorrente e l'avv. dello stato [omissis] per la controricorrente. fatti di causa 1. la alfa srl in liquidazione, ammessa al concordato preventivo, ha richiesto in data 24.10.2012 il rimborso di quanto versato all'erario in data 21.2.2011 a seguito di avviso di accertamento n. [omissis]/2010, notificato il 26.10.2010 e non impugnato, con il quale l'agenzia aveva accertato l'indebita detrazione iva pari alla «differenza tra l'aliquota applicata (20%) e l'aliquota applicabile (10%)» relativa a fatture emesse dalla beta srl. 2. l'istanza di rimborso era stata proposta a seguito dell'introduzione, con l'art. 93 del dl n. 1/2012, del co. 7 dell'art. 60 del dpr n. 600/72; l'agenzia delle entrate ha emesso provvedimento di diniego, notificato il 16.10.2015, rilevando il difetto di legittimazione attiva del cessionario e osservando che la norma invocata non era applicabile in quanto relativa solo agli accertamenti divenuti definitivi successivamente alla sua entrata in vigore (24 gennaio 2012). 3. il diniego è stato impugnato dalla contribuente con ricorso che la commissione tributaria provinciale (ctp) di milano, con sentenza n. 1617/2019, ha accolto. 4. la commissione tributaria regionale (ctr) della lombardia ha accolto l'appello erariale: ha osservato il difetto di legittimazione attiva della cessionaria a pretendere dall'ufficio, anziché dalla cedente, la restituzione dell'iva versata in rivalsa e risultata non dovuta; ha rilevato che tale soluzione non era inficiata dalle modifiche legislative nel frattempo introdotte, né quella relativa all'art. 60 co. 7 del dpr n. 633 del 1972 di cui all'art. 93 co. 1 del dl n. 1/2012 conv. con l. n. 27/2012 né quella relativa all'art. 6 co. 6 del dlgs. n. 471 del 1997, introdotta con l'art. 1 co. 935 della l. n. 205 del 2017, trattandosi di norme innovative e non interpretative, non suscettibili di interpretazione retroattiva, sopraggiunte quando la fattispecie si era già «integrata» e l'accertamento era ormai definitivo; ha ritenuto irrilevante che il cessionario soggetto iva sia legittimato a pretendere dall'erario il rimborso dell'iva non dovuta pagata in rivalsa, allorquando ciò si rifletta sulla liquidazione finale dell'imposta esposta nella dichiarazione annuale, in quanto era «intervenuto a suo tempo avviso di accertamento, divenuto definitivo per mancata impugnazione». 5. avverso questa sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi, illustrati con memoria. 6. ha resistito con controricorso l'agenzia delle entrate. ragioni della decisione 1. con il primo motivo si deduce, in relazione all'art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione: dell'art. 19 del dpr 633/72; dell'art. 6 co. 6 del dlgs. n. 471/97, così come modificato dall'art. 1 co. 935 della l. n. 205/2017; dell'art. 1 co. 935 della l. n. 205/2017, come modificato dall'art. 6, co. 3-bis del dl 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58; dell'art. 2033 codice civile e dell'art. 38 del dpr n. 602/73, laddove la ctr aveva negato la retroattività dell'art. 6 co. 6, cit., espressamente prevista dall'art. 6 co. 3-bis del dl n. 34/2019 conv. con l. n. 58/2019. 2. con il secondo motivo si deduce, in relazione all'art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 19 del dpr n. 633/72; dell'art. 21 co. 7 del dpr n. 633/72; dell'art. 6 co. 6 del dlgs. n. 471/97, così come modificato dall'art. 1 co. 935 della l. n. 205/2017; dell'art. 1 co. 935 della l. n. 205/2017, come modificato dall'art. 6 co. 3-bis del dl 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58; dell'art. 2033 codice civile e dell'art. 38 del dpr n. 602/73, perché la ctr aveva erroneamente escluso il diritto della ricorrente alla detrazione, spettante in fattispecie di operazioni esistenti e non fraudolente secondo i principi di "formalità dell'imposta" e di "cartolarità dell'operazione". 3. con il terzo motivo si deduce, con riferimento all'art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c., -violazione e/o falsa applicazione dell'art. 60 co. 7 del dpr n. 633/72; dell'art. 19 del dpr n. 633/72; degli artt. 167, 168, 178, 179, 180, 182, 193, 203 e segg. della direttiva iva 2006/112/ce del consiglio del 28/11/2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto; dei principi di neutralità fiscale dell'iva, di effettività e di proporzionalità; dell'obbligo di disapplicare il diritto nazionale in contrasto con quello prevalente comunitario; dell'art. 2033 codice civile ed art. 38 del dpr n. 602/73: la ctr aveva erroneamente affermato l'irretroattività del novellato art. 60 co. 7 del dpr n. 633/72, introdotto con l'art. 93 del dl n. 1/2012, e la sua applicazione ai soli avvisi di accertamento divenuti definitivi dopo il 24.1.2012. 4. con il quarto motivo si deduce, in riferimento all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. - violazione e/o falsa applicazione: degli artt. 167, 168, 178, 179, 180, 182, 193, 203 e segg. della direttiva iva n. 2006/112/ce del consiglio del 28/11/2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto; dell'obbligo di disapplicare il diritto nazionale in contrasto con quello prevalente comunitario; dei principi di neutralità fiscale dell'iva, di effettività e di proporzionalità; dell'art. 38 del dpr n. 602/73, laddove la ctr aveva escluso la legittimazione attiva della ricorrente quale soggetto iva, giacché «si discuteva proprio della liquidazione finale dell'imposta e sui riverberi dell'iva di rivalsa su quella detratta, e non già meramente di una pretesa di rimborso dell'iva concernente una determinata operazione, che la cessionaria reputava non dovuta»; la ricorrente afferma l'«irrilevanza di precedente avviso di accertamento che aveva stabilito l'indetraibilità dell'iva, rappresentando anzi il presupposto del diritto al rimborso»; pertanto, la ctr aveva errato nel negare il diritto al rimborso del pagamento indebito, «con conseguente violazione altresì dell'art. 2033 c.c. e/o dell'art. 39 del dpr n. 602/73». 5. con il quinto motivo si deduce, in riferimento all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. -violazione e/o falsa applicazione: dei principi di neutralità fiscale dell'iva, di proporzionalità e di effettività; dell'art. 38 del dpr n. 602/73. si lamenta la violazione del principio di effettività perché la cessionaria ha diritto agire per la ripetizione dell'iva non dovuta nei confronti dell'erario anziché nei confronti del cedente beta che, in data 27.10.2017, si era cancellata dal registro delle imprese, evento di cui la ricorrente aveva avuto conoscenza soltanto nel 2021. 6. il primo, il secondo e il terzo motivo, che possono esaminarsi unitariamente, sono inammissibili laddove la ricorrente, insistendo sullo ius superveniens, non si confronta con l'assorbente ratio desumibile dalla sentenza: osservano i giudici d'appello che «la fattispecie si è integrata in epoca ampiamente anteriore» alle invocate modifiche legislative e «l'accertamento è divenuto definitivo nel 2010», alludendosi al principio consolidato secondo cui l'efficacia retroattiva di una norma sopravvenuta, così come di una pronuncia di incostituzionalità e di una sentenza della corte di giustizia che accerta l'incompatibilità di una norma interna rispetto al diritto unionale, trova il limite dei rapporti esauriti (cass. n. 7390 del 2019; cass. sez. un. n. 13676 del 2014, cass. n. 19606 del 2018; cass. n. 17972 del 2013), tali dovendosi intendere anche quelli in cui sia intervenuto un atto amministrativo definitivo (cass. n. 14377 del 2017; cass. n. 26479 del 2016; cass. n. 15978 del 2017; cass. 13132/2017; cass. n. 10896 del 2019; cass. n. 19720 del 2013; cass. n. 3188 del 2013, cass. n. 10958 del 2011), essendo rapporto giuridico amministrativo non ancora esaurito quello in cui non è ancora scaduto il termine per l'impugnazione o è pendente il relativo giudizio (cass. n. 8014 del 2016; cass. n. 2012 del 2014; cass. n. 423 del 2008). 7. i motivi vanno comunque disattesi in quanto infondati. 7.1. il principio di neutralità dell'iva richiede che il soggetto che abbia versato l'imposta non dovuta, in quanto erroneamente liquidata in fattura, possa recuperare tale importo, occorrendo considerare al riguardo che il soggetto "obbligato al pagamento della imposta" non coincide con il soggetto "obbligato in rivalsa", disponendo l'art. 21, paragr. 1, lett. c), della sesta direttiva 77/388/cee del consiglio in data 17.5.1977, che soggetto passivo d'imposta è esclusivamente colui che «indichi l'imposta sul valore aggiunto in una fattura o in altro documento che ne fa le veci», disposizione riprodotta nell'art. 203 della nuova direttiva iva, 2006/112/ce del consiglio del 28.11.2006, che prevede che «l'iva è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura». però, in caso di operazione erroneamente assoggettata ad iva (nella specie ad un'aliquota eccedente quella applicabile) non è ammessa la detrazione dell'imposta pagata e fatturata atteso che, ai sensi dell'art. 19 del dpr 26 ottobre 1972, n. 633, e in conformità dell'art. 17 della direttiva del consiglio cee del 15 maggio 1977, n. 77/388/cee, e degli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/ce, l'esercizio del relativo diritto presuppone l'effettiva realizzazione di un'operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta. 7.2. si profila, pertanto, una divergenza tra il rapporto di diritto civile, instaurato tra cedente/prestatore e cessionario/committente avente ad oggetto l'adempimento dell'obbligazione in rivalsa, ed il rapporto di diritto tributario, instaurato tra cedente/prestatore (emittente fattura e soggetto - passivo d'imposta) ed amministrazione. la giurisprudenza di questa corte sul tema può essere sintetizzata nei seguenti princìpi di diritto: «in caso di operazione erroneamente assoggettata ad iva (nella specie ad un'aliquota eccedente quella applicabile) non è ammessa la detrazione dell'imposta pagata e fatturata atteso che, ai sensi dell'art. 19, del dpr 26 ottobre 1972, n. 633, e in conformità dell'art. 17 della direttiva del consiglio cee del 15 maggio 1977, n. 77/388/cee, e degli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/ce (come interpretati dalla giurisprudenza della corte di giustizia), l'esercizio del relativo diritto presuppone l'effettiva realizzazione di un'operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta. (2) ne discende che, ove l'operazione sia stata erroneamente assoggettata all'iva, per la misura non dovuta sono privi di fondamento: (i) il pagamento dell'imposta da parte del cedente (il quale ha diritto di chiedere all'amministrazione il rimborso di quanto versato in eccesso); (ii) la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario (il quale ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell'iva in via di rivalsa, nella parte erroneamente versata); (iii) la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione iva, con conseguente potere-dovere dell'amministrazione di escludere la detrazione dell'imposta così pagata in rivalsa»; (cfr., in termini, cass. n. 32900 del 2022; cass. n. 9942 del 2015; cass. n. 15536 del 2018; cass. n. 14179 del 2019; cass. n. 27649 del 2020). 7.3. siffatto orientamento trova conferma nella giurisprudenza unionale, la quale ritiene che l'esercizio del diritto di detrazione sia circoscritto alle imposte corrispondenti ad un'operazione soggetta all'iva e versate in quanto dovute; benché il diritto alla detrazione dell'iva sia parte integrante del meccanismo dell'imposta, il suo esercizio è limitato alle sole imposte dovute e non può essere esteso all'iva indebitamente versata a monte, per cui non si estende all'imposta dovuta esclusivamente in quanto esposta sulla fattura (cfr., corte giust., 10 luglio 2019, kursu zeme; corte giust., 21 febbraio 2018, kreuzmayr; corte giust., 14 giugno 2017, compass contract services; corte giust., 26 aprile 2017, farkas). inoltre, la corte di giustizia ha riconosciuto che un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l'iva può chiederne il rimborso e, dall'altro, l'acquirente di tale bene può esercitare un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei confronti di tale venditore, è rispettoso dei principi di equivalenza ed effettività nonché di quello di neutralità (corte giust. 15 marzo 2007, reemtsma cigarettenfabriken, punti 38 e 39). 7.4. su questo consolidato assetto è intervenuto l'art. 1 co. 935 legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha disciplinato il rapporto tra cessionario (o prestatore) e amministrazione finanziaria, aggiungendo due periodi al sesto comma dell'art. 6, dlgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che assoggetta colui che computa illegittimamente in detrazione l'imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, alla sanzione amministrativa pari al novanta per cento dell'ammontare della detrazione compiuta. la nuova disposizione prevede che in caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, «fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 ss. del dpr n. 633 del 1972», quest'ultimo è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro, in luogo della predetta sanzione pari al novanta per cento dell'ammontare della detrazione indebitamente compiuta. inoltre, la restituzione dell'imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale. in punto di efficacia, retroattiva o meno, di quest'ultima nuova norma di legge, originariamente esclusa da questa corte (v. cass. n. 14179 del 2019 e n. 24001 del 2018), è intervenuto il legislatore con l'art. 6 co. 3-bis, dl 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, il quale ha aggiunto al menzionato art. 1 co. 935, legge n. 205 del 2017, il seguente periodo: «le disposizioni di cui al presente co. si applicano anche ai casi verificatisi prima dell'entrata in vigore della presente legge». 7.4.1. circa l'esegesi della disposizione - retroattivamente applicabile in considerazione dell'interpretazione autentica fornita dal legislatore -, i precedenti di questa corte invocati dalla ricorrente (cass. n. 23817 del 2020 e 24289 del 2020), che avevano ammesso la detraibilità per l'intera iva indicata in fattura, sono stati superati da più attenta giurisprudenza che, alla luce dei principi unionali in materia, ha concluso che la riforma dell'art. 6 dlgs. n. 471 del 1997 si sia limitata a modificare, rendendolo più mite, il regime sanzionatorio applicabile ai casi di indebita detrazione dell'iva, in quanto operata per un importo superiore rispetto a quella dovuta in relazione all'operazione posta in essere, benché coincidente con quella indicata in fattura. in tale ottica, l'inciso ivi contenuto, «fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti ...», va considerato quale riconoscimento del diritto alla detrazione dell'iva nei limiti di quanto dovuto ai sensi delle disposizioni richiamate, le quali, per le ragioni suindicate, non consentono di detrarre l'imposta versata nel suo intero ammontare, laddove non dovuta per intero o in parte, ma solo nei limiti dell'imposta effettivamente dovuta in ragione della natura delle caratteristiche dell'operazione posta in essere. si è così affermato il principio che «in tema di iva, in caso di detrazione indebita perché operata in misura superiore a quella dovuta per l'operazione posta in essere, l'art. 6 co. 6 dlgs. n. 471 del 1997, nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017, interpretato in senso conforme al diritto unionale, ha introdotto un regime sanzionatorio più mite, riconoscendo il diritto alla detrazione nei limiti del dovuto, ai sensi degli artt. 19 e ss. del citato decreto, e non per l'intero ammontare versato» (cass. n. 10439 del 2021; cass. n. 8589 del 2022; cass. n. 24581 del 2022; cass. n. 32900 del 2022). 7.4.2. né tale orientamento viene inficiato dalle modifiche dell'art. 6 co. 6, cit., introdotte con l'art. 2, co. 1, lett. d), n. 6, del dlgs. n. 87/2024, segnalate dalla ricorrente in memoria, secondo cui «chi computa illegittimamente in detrazione l'imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al settanta per cento dell'ammontare della detrazione compiuta…resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del presidente della repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 , della sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell'operazione posta in essere», stabilendosi altresì, all'art. 5 dello stesso decreto, che «le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024». ad avviso della ricorrente si tratta di modifica innovativa che, laddove ha previsto il diritto alla detrazione «della sola imposta effettivamente dovuta», lascerebbe intendere, per le violazioni anteriori al 1° settembre 2024, la possibilità di operare la detrazione per l'intero importo su cui è stata operata la rivalsa. l'argomento non persuade, dovendosi ribadire che la disposizione in questione si occupa di sanzioni: la novella, infatti, ha modificato anche la misura della sanzione e il decreto in cui è inserita è dedicato proprio alla «revisione del sistema sanzionatorio tributario». deve concludersi che l'art. 5 fissi la decorrenza delle modifiche introdotte a tale sistema e il segnalato intervento modificativo, non direttamente attinente alla materia sanzionatoria, abbia la finalità di adeguare la normativa positiva al "diritto vivente" conforme al diritto unionale. 7.4.3. in conclusione, la domanda di ripetizione fondata su tale disposizione è comunque infondata, sulla scorta della prevalente giurisprudenza di questa corte a cui deve darsi continuità, poiché con il precedente avviso di accertamento l'agenzia aveva accertato soltanto l'indebita detrazione iva pari alla «differenza tra l'aliquota applicata (20%) e l'aliquota applicabile (10%)», ma non aveva contestato e recuperato la detrazione spettante per l'importo corrispondente alla minore aliquota applicabile. 7.5. invece, l'art. 93 del dl 24 gennaio 2012, n. 1, (cosiddetto "decreto liberalizzazioni"), ha modificato il settimo co. dell'art. 60 del dpr 26 ottobre 1972, n. 633 che nella formulazione in vigore dal 24 gennaio 2012 dispone: «il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. in tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione». in precedenza il settimo co. dell'articolo 60, cit. precludeva espressamente al cedente/prestatore il diritto di rivalersi, nei confronti di cessionari di beni o committenti di servizi, dell'imposta o maggiore imposta pagata in conseguenza d'accertamento o rettifica. la novella, introdotta a chiusura di procedura di infrazione aperta contro l'italia dalla commissione europea, perché la preclusione posta dal settimo comma dell'art. 60 cit. è stata ritenuta non conforme ai principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell'imposta sul valore aggiunto, consente al contribuente di esercitare la rivalsa dopo aver effettivamente pagato all'erario l'imposta accertata, le sanzioni e gli interessi. inoltre, la nuova formulazione prevede che l'esercizio del diritto a detrazione da parte del cessionario o committente sia subordinato, in deroga agli ordinari principi, all'avvenuto pagamento dell'iva addebitatagli in via di rivalsa dal cedente o prestatore, e ciò al fine di scongiurare l'ingiusto arricchimento che il cessionario o committente conseguirebbe se detraesse l'imposta senza provvedere al suo effettivo pagamento. 7.5.1. la disposizione appare inconferente nel caso in esame in cui l'accertamento venne svolto nei confronti non della cedente ma della cessionaria per indebita detrazione dell'iva pagata in rivalsa; invero, un conto è l'esercizio della rivalsa, e conseguentemente della detrazione, a seguito dell'accertamento di maggiore iva in capo al soggetto passivo, altro è l'esercizio di un diritto alla detrazione dopo che si è accertata in via definitiva la sua insussistenza. in ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa corte, la modifica introdotta dall'art. 93 del dl 24 gennaio 2012, n. 1 - come chiarito anche dalla circolare n. 35/e/2013 dell'agenzia - si applica agli accertamenti divenuti definitivi successivamente alla sua entrata in vigore (cass. n. 8372 del 2023). 8. passando al quarto motivo, la doglianza è inammissibile e comunque infondata. 8.1. va osservato che il principio enunciato in ordine all'autonomia dei rapporti tra erario, cedente e cessionario, riflette una impostazione statica dei rapporti in questione, che debbono più correttamente essere riguardati tenendo conto che il cessionario, di norma, è al tempo stesso anche soggetto passivo d'imposta (in relazione alle operazioni attive dallo stesso realizzate). occorre, infatti, precisare, quanto alla pretesa di rimborso dell'iva pagata in rivalsa dal cessionario del bene o servizio, che la stessa può essere diversamente diretta, in considerazione della differente angolazione con la quale viene prospettata: a proposito è stato osservato che il rapporto di natura privatistica tra cedente e cessionario (che dà luogo alla giurisdizione dell'ago, venendo meno la connotazione tributaria del rapporto controverso) si configura laddove il cessionario rivesta la posizione di "consumatore finale", e cioè a dire si identifichi nel soggetto definitivamente inciso dalla imposta (cfr. cass. sez. un. n. 1147 del 2000; cass. sez. un. n. 2686 del 2007; cass. sez. un. n. 20752 del 2008; cass. n. 12433 del 2011; cass. n. 18425 del 2012), diversamente riemergendo il rapporto tributario - con conseguente legittimazione del soggetto cessionario ad agire nei confronti della amministrazione finanziaria - tutte le volte in cui l'iva indebitamente versata in rivalsa sull'acquisto di beni e servizi destinati all'esercizio dell'attività economica, venga a riflettersi sulla liquidazione finale della imposta, riportata nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il fisco contesti, in tutto od in parte, che l'iva versata in rivalsa non poteva essere portata in detrazione (o se eccedente, non poteva essere esposta a credito), in quanto relativa ad operazione esente o non imponibile, ovvero in quanto assoggettabile ad una aliquota inferiore rispetto a quella indicata erroneamente in fattura (cass. n. 17174 del 2015; cass. n. 23288 del 2018). si tratta, quindi, non di rimborso di iva non dovuta concernente una determinata operazione, ma di iva di rivalsa che si riflette sulla liquidazione finale dell'imposta, determinando un'eccedenza rimborsabile e costituisce esercizio del diritto alla detrazione dell'iva, che inerisce al meccanismo stesso dell'iva (cass. n. 23288 del 2018; cass. n. 19837 del 2023). 8.2. con riguardo a questo profilo di gravame la ctr, in sostanza, ha osservato che comunque tale azione doveva esser fatta valere con l'impugnazione dell'atto che aveva negato la detraibilità di quell'iva di rivalsa. questa decisione viene ora aggredita, con il motivo in esame, con l'introduzione di elementi estranei alla specifica questione esaminata in sede di merito, riaffermandosi un diritto di ripetizione dell'indebito ovvero di restituzione ex art. 38 dpr n, 602/73 di quanto pagato a seguito dell'accertamento definitivo. 8.3. in ogni caso, la decisione della ctr appare conforme ai principi perché si è in presenza di un atto impositivo definitivo che ha rettificato la dichiarazione annuale iva negando la detraibilità dell'imposta versata in rivalsa e non dovuta, escludendo quell'eccedenza dal credito iva esposto, che è stata recuperata dall'ufficio (v. ricorso pagg. 29-30, ove per autosufficienza è riportato l'atto impositivo). poiché nel processo tributario, la cui struttura è caratterizzata da un meccanismo d'instaurazione imperniato sull'impugnazione di uno degli atti specificamente indicati dall'art. 19 del dlgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ed il cui oggetto è rigorosamente circoscritto al controllo di legittimità formale e sostanziale dell'atto impugnato, nei limiti delle contestazioni sollevate dal contribuente con i motivi dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado, la mancata impugnazione dell'atto di accertamento dell'imposta con tempestivo ricorso rende definitivo l'atto impositivo e intangibile la pretesa ivi contenuta (cass. n. 28680 del 2005; cass. 20516 del 2006). la definitività e l'intangibilità dell'accertamento esclude l'azionabilità del rimborso, che assume come indebita quella stessa imposta che, sulla base di un atto ormai inoppugnabile, è da ritenersi incontrovertibilmente dovuta (così, in motivazione, cass. n 10552 del 2020). 9. il quinto motivo, con cui si afferma il diritto del cessionario di agire direttamente nei confronti dell'erario nel caso di impossibile o difficoltoso esercizio, nei confronti del cedente (dichiarato fallito nel 2017), dell'azione civilistica di ripetizione dell'indebito, è inammissibile. 9.1. si tratta di questione nuova che non risulta esser stata proposta nel corso del giudizio di merito che richiederebbe accertamenti in fatto. invero, in tema di ricorso per cassazione, i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (cass. n. 18018 del 2024; cass. n. 20694 del 2018). inoltre, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (cass. n. 15196 del 2018; cass. n. 19350 del 2005). 9.2. va altresì rammentato che la corte di giustizia, pur ritenendo pienamente compatibile con i principi di neutralità, effettività e non discriminazione una legislazione nazionale secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di imposta sul valore aggiunto, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei confronti del prestatore, ha stabilito che, nel caso in cui il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l'imposta indebitamente fatturata (corte giust., 15 marzo 2007, reemtsma cigarettenfabriken gmbh, punti 39 e 42), come nel caso in cui l'azione civilistica nei confronti del prestatore di servizi (o del cedente) «risulti impossibile od eccessivamente difficile, segnatamente in caso di insolvenza del prestatore» (ibidem, punto 41 e 42). la stessa corte più recentemente ha ribadito che «la possibilità per l'acquirente o il destinatario di presentare la sua domanda di rimborso dell'iva indebitamente fatturata e pagata «direttamente» all'amministrazione tributaria è un'eccezione e, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 33 della presente sentenza, è esperibile solo se il recupero di tale iva presso il fornitore o il prestatore è impossibile o eccessivamente difficile, il che presuppone che l'acquirente o il destinatario non abbia trascurato alcuna possibilità di far valere i propri diritti al di fuori di tale situazione» (corte giust., 5 settembre 2024, h gmbh, punto 44). quindi, non è sufficiente la dichiarazione di fallimento del cedente per giustificare l'esercizio di questa "eccezionale" azione nei confronti dell'erario, dovendo il cessionario dimostrare che, nonostante l'azione civilistica concretamente esperita nei confronti del prestatore di servizi (o del cedente) ovvero le iniziative avviate nell'ambito della procedura concorsuale relativa a questo soggetto, risulti impossibile od eccessivamente difficile la restituzione del dovuto, e ciò in quanto l'impossibilità o eccessiva difficoltà va valutata non già ex ante in astratto ma ex post in concreto, all'esito di un effettivo tentativo di ottenere - mediante l'esperimento delle azioni pertinenti - la restituzione dal cedente/prestatore dell'imposta indebitamente versata in rivalsa. 10. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza. p.q.m. rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell'art. 13 co. 1-quater del dpr n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1 co. 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis, dello stesso articolo 13.

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