A fronte di un accesso presso la sede del contribuente senza autorizzazione ma solo con un ordine interno del comandante del reparto della guardia di finanza, viene ravvisato un possibile eccesso di potere dell'amministrazione in occasione di tale attività ispettiva in violazione degli artt. 7-ter e 7-quinquies della l. 212/2000. attesa l'intervenuta sentenza della corte edu 6.2.2025 n. 36617/18 nelle more del giudizio, la corte di cassazione, rilevatane la potenziale incidenza, ha sospeso il giudizio in attesa delle osservazioni delle parti e del pm.

Ordinanza interlocutoria sul ricorso iscritto al n. 4154/2024 r.g. proposto da xxx s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al ricorso, dall'avv. [omissis] e dall'avv. [omissis]; - ricorrente - contro agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, con sede in roma, via cristoforo colombo, n. 426 c/d, domiciliata in roma alla via dei portoghesi n. 12, presso l'avvocatura generale dello stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis; - controricorrente - avverso la sentenza della corte di giustizia tributaria di secondo grado della puglia, n. 3428/26/2023, depositata il 30 novembre 2023. udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 gennaio 2025 dal consigliere [omissis]. udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale [omissis], che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. uditi per la società ricorrente gli avv. [omissis], per l'agenzia delle entrate l'avvocato dello stato [omissis]. fatti di causa 1. a seguito di verifica fiscale condotta dalla guardia di finanza di foggia presso la sede della società alfa s.r.l. (esercente l'attività di produzione di calcestruzzo), l'agenzia delle entrate di foggia, sulla scorta delle risultanze del pvc redatto dai militari il 30.4.2013, notificava alla contribuente l'avviso di accertamento n. [omissis]/2015, con cui recuperava a tassazione, ai fini irap, ires ed iva, per l'anno di imposta 2011, i costi, ritenuti indeducibili, per: 1) l'acquisto di prodotti petroliferi per i propri mezzi (tra cui 25 betoniere e 5 autopompe) presso società grossiste per euro 829.336,00, oltre iva, come desunto da 167 fatture; 2) l'acquisto di gasolio per autotrazione per gli stessi mezzi presso impianti di distribuzione aperti al pubblico; 3) la manutenzione ordinaria e straordinaria degli automezzi, desunta da 35 fatture, per euro 38.508,75; 4) il noleggio di automezzi dalla beta, sulla base di 10 fatture, per euro 84.348,93; 5) l'acquisto di una villetta a schiera, per il quale era stata emessa una fattura il 28.4.2010, a titolo di secondo acconto; l'esborso non era stato riportato dalla contribuente tra i costi, per cui l'ufficio recuperava a tassazione solo l'iva pari ad euro 2.480,00. infine, l'importo di euro 157.143,45 (versamento soci per costi non deducibili), considerato dalla contribuente come sopravvenienza attiva, veniva ritenuto dall'ufficio quale ricavo non dichiarato, con conseguente ripresa dell'iva al 20% (sulla differenza tra il detto importo e quanto spontaneamente dichiarato dalla contribuente come somma imponibile, euro 99.800,00). l'ufficio accertava, quindi, il reddito di impresa in euro 1.227.139,00 (a fronte del dichiarato pari ad euro 211.069,00) e rideterminava l'ires in euro 279.419,00, l'irap in euro 48.974,00 e l'iva in euro 207.527,00. la contribuente proponeva ricorso innanzi alla commissione tributaria provinciale di foggia, che lo accoglieva in parte. precisamente, con riferimento ai rilievi sub 1) e 4) relativi ai costi per l'acquisto di carburante ed al noleggio degli automezzi, i giudici di prossimità ritenevano i costi deducibili nella misura del 70% dell'importo indicato dalla società; l'importo di cui al terzo rilievo veniva rideterminato in euro 17.540,96. gli altri rilievi, invece, venivano integralmente confermati. 2. la contribuente proponeva gravame innanzi alla commissione tributaria regionale (oggi corte di giustizia tributaria di secondo grado) della puglia, limitatamente alla decisione sul rilievo relativo ai costi per l'acquisto di carburante, instando per l'annullamento totale dell'avviso di accertamento in parte qua. affermava la deducibilità totale dei costi, in quanto risultanti da registri di comodo, istituiti all'interno della società per documentare con cadenza giornaliera i consumi di ciascun mezzo; il carburante veniva, invero, acquistato presso società grossiste, successivamente trasportato e stipato all'interno di una cisterna sita presso il deposito della beta s.r.l. (società avente la medesima partecipazione della contribuente), e, infine, prelevato per rifornire i mezzi. tale documentazione era idonea, nella prospettiva dell'appellante principale, a superare la circostanza rappresentata dal prelievo di carburante dall'impianto di distribuzione sito nella sede della beta s.r.l., e la conseguente promiscuità d'uso dello stesso (elemento, invece, valorizzato dai verificatori al fine di inferire la impossibilità di individuare il carburante prelevato dall'impianto per rifornire i mezzi di trasporto della contribuente). l'ufficio si costituiva e spiegava appello incidentale volto all'accertamento della legittimità dell'avviso non solo riguardo al detto rilievo, ma anche con riferimento ad altri due (nn. 3 e 4) ed al recupero dell'iva sull'importo (residuo all'esito della dichiarazione della contribuente) recuperato a tassazione a titolo di ricavi non dichiarati. la cgt di secondo grado rigettava l'impugnazione della contribuente, rilevando che la documentazione prodotta dalla contribuente non poteva formare prova di fatti favorevoli alla stessa, ex artt. 2709 e 2710 c.c., non essendo l'ufficio-controparte un imprenditore; inoltre, detta documentazione era frammentaria, non avendo ad oggetto tutti i prelievi di carburante effettuati nell'anno 2011 presso la cisterna sita nella sede della beta s.r.l., rappresentando bensì l'attività svolta da alcuni automezzi solo in alcuni giorni del 2011. infine, la cgt sottolineava le dichiarazioni di c. n., direttore della beta s.r.l., secondo cui l'impianto serviva indifferentemente tanto gli automezzi della contribuente quanto quelli della beta s.r.l., senza possibilità di distinzione. il giudice di appello accoglieva, invece, il gravame incidentale spiegato dall'ufficio evidenziando che ‘nel caso di specie le risultanze acquisite all'esito dell'istruttoria processuale non offrono alcun elemento in grado di avvalorare la destinazione alla contribuente del carburante stivato nell'impianto della beta f.lli c. s.a.s. nella misura percentuale' del 70%, indicata dalla ctp. 3. la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a nove motivi. l'ufficio resiste con controricorso. la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. all'udienza pubblica del 24/01/2025 il sostituto procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso; gli avvocati della ricorrente hanno chiesto accogliersi il ricorso evidenziando l'imminenza della decisione della cedu sulla questione posta con il primo motivo di ricorso; l'avvocato dello stato ha chiesto il rigetto del ricorso. ragioni della decisione 1. con il primo motivo la contribuente lamenta, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la «nullità dell'avviso di accertamento perché basato su documentazione raccolta ed esaminata illegittimamente in assoluta mancanza di potere - violazione articoli 7-ter e 7-quinquies legge 212 del 27.7.2000» (pag. 6 del ricorso). lamenta, in particolare, che la verifica fiscale (con accesso presso la sede sociale ed acquisizione di documentazione ivi rinvenuta) fu compiuta sulla base di un'autorizzazione rilasciata dal comandante del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di foggia (maggiore v.c.), pertanto in mancanza assoluta di potere, causa di nullità dell'atto ex art. 7-ter, comma 2, l. 212/2000, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. la ricorrente afferma la nullità dell'avviso perché preceduto da accesso, perquisizione e sequestro di documentazione eseguiti in carenza assoluta di attribuzione; le norme interne, ovvero gli articoli 33 dpr n. 600/73 e 52 dpr n. 633/72, nel prevedere che l'ordine di accesso, in casi come quello in esame, non sia rilasciato da una a.g., bensì possa essere rilasciato dal comandante della g.d.f., si pongono in contrasto con l'art. 14 della costituzione (come integrato dall'art. 8 cedu) e con gli articoli 7 e 47 della cdfue. di qui, da un lato, l'obbligo, in capo al giudice italiano, di disapplicare, in caso di tributi cd. armonizzati, la normativa interna in contrasto con quella dell'unione (o di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267, comma 3, del tfue); dall'altro, in caso di tributi non armonizzati, la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa interna. poiché nella specie l'avviso di accertamento ha ad oggetto il recupero sia dell'iva (imposta armonizzata) sia di irap ed ires (imposte non armonizzate), la corte dovrebbe, con riferimento all'iva, disapplicare la normativa interna (o sollevare questione pregiudiziale ex art. 267 tfue), e, con riferimento all'irap ed all'ires, sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 33 dpr n. 600/73 e 52 dpr n. 633/72 per contrarietà all'art. 14 cost.. 1.1. sotto il primo profilo, la ricorrente premette che l'art. 7 della carta europea dei diritti fondamentali così recita: "ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni"; la giurisprudenza unionale (cgue e cedu) interpreta la norma in senso ampio, tutelando il diritto dell'ue la vita privata ed il domicilio non solo con riferimento alla sfera intima, ma anche all'attività lavorativa dell'individuo e della persona giuridica. di qui, la richiesta di disapplicazione degli artt. 33 e 52 cit. e di conseguente declaratoria di illegittimità della documentazione acquisita con la verifica per cui è causa, e, in subordine, qualora la corte ravvisi dubbi interpretativi circa la compatibilità del diritto nazionale con gli artt. 7, 8 e 47 della carta dei diritti fondamentali dell'ue, di rimessione della questione, previa sospensione del presente processo, alla cgue affinché risponda alla seguente domanda: ‘dica la corte di giustizia ue se in materia di accessi, ispezioni e verifiche ai fini iva, gli articoli 7, 8 e 47 della carta dei diritti fondamentali dell'unione europea ostino ad una normativa nazionale quale quella di cui agli articoli 33 dpr 600/73, 52 dpr 633/72 e art. 35 l. 4/1929 che consentono di autorizzare l'accesso presso il domicilio del contribuente sulla base di una autorizzazione rilasciata dalla stessa autorità amministrativa che vuole eseguire l'accesso'. 1.2. sotto il secondo profilo la ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 52 cit., nella parte in cui prevedono che l'autorizzazione all'accesso sia rilasciata dalla stessa autorità amministrativa che vuole eseguire l'accesso e non da un giudice terzo ed imparziale, per contrarietà all'art. 14 cost., come integrato dall'art. 8 cedu. partendo dalla nozione di domicilio ‘aggiornata in base all'evoluzione della sensibilità internazionale e sovranazionale', che è divenuta parte integrante dell'ordinamento interno (pag. 10 del ricorso), e, quindi, dall'inclusione in essa di tutti ‘i luoghi ove si svolge la vita di una persona', anche giuridica (pag. 12), la ricorrente riporta le condizioni individuate dalla giurisprudenza eurounionale per l'accesso al domicilio come sopra inteso da parte delle autorità pubbliche, condizioni non rispettate dalla normativa interna. infine, evidenzia la rilevanza della questione nella fattispecie, poiché la ritenuta mancanza di autorizzazione (all'accesso) da parte di un giudice comporterebbe la nullità dell'avviso di accertamento (ex art. 7-ter l. 212/2000) e l'inutilizzabilità della documentazione acquisita in sede di verifica (art. 7-quinquies l. 212/2000). 2. con il secondo motivo la contribuente lamenta, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 2709 c.c., per avere la cgt di secondo grado erroneamente affermato che la contribuente avesse depositato ‘per estratto' la propria contabilità, mentre ‘nessun documento o registro è mai stato depositato in forma di "estratto"' (pag. 15 del ricorso). in particolare, il registro dei prelievi di carburante era stato allegato sin dal primo grado in maniera fedele, analitica e cronologica; inoltre non rientrerebbe nel perimetro applicativo dell'art. 2709 c.c., non essendo un libro e/o una scrittura contabile; infine, stante la natura sostanzialmente penale delle sanzioni tributarie (in virtù dei cc.dd. engels criteria), il giudice di appello avrebbe dovuto applicare l'art. 193 c.p.p., a mente del quale ‘nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza' (pag. 16). 3. con il terzo motivo di ricorso la contribuente lamenta, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 195 c.p.p., per avere il giudice di appello dato rilevanza probatoria alle dichiarazioni rilasciate dal legale rappresentante della beta, come riportate nel pvc; secondo la ricorrente, trattandosi di ‘testimonianza indiretta', invece, ai sensi dell'art. 195 cit. non era utilizzabile ai fini della decisione. 4. con il quarto motivo la ricorrente deduce il travisamento della prova e la violazione dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la cgt di secondo grado travisato il contenuto della dichiarazione rilasciata da n. c.; infatti, il giudice del gravame ha affermato che quest'ultimo avrebbe dichiarato che il carburante stivato nel proprio impianto riforniva entrambe le società, senza possibilità di distinzione, mentre il c. aveva riferito ai verbalizzanti che al momento non era in grado di specificare in quale modo il carburante venisse distinto tra le due società e si riservava di fornire documentazione al riguardo. 5. con il quinto motivo la ricorrente lamenta l'omesso esame di due fatti decisivi per il giudizio, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ovvero: a) il registro dei rifornimenti dei mezzi di trasporto, che forniva la certezza dei consumi di gasolio nell'anno 2011; b) i cronotachigrafi delle 25 betoniere e delle 5 autopompe nel periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 2011, dai quali risultava la percorrenza di oltre 820mila chilometri e l'impiego di carburante. 6. con il sesto motivo la contribuente lamenta la «motivazione assente o quantomeno meramente apparente - violazione art. 36, 2° comma, n. 4, dlgs. 546 del 31.12.1992 e art. 6, 1° paragrafo, convenzione europea dei diritti dell'uomo», in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.. sotto il diverso angolo prospettico della carenza di motivazione, la ricorrente con il presente motivo lamenta che la cgt di secondo grado non avrebbe valutato i due elementi probatori, già indicati come ‘fatti' nel quinto motivo di ricorso. 7. con il settimo motivo la contribuente deduce la «pronuncia extrapetita - violazione art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c.» per avere la cgt di secondo grado accolto l'appello incidentale dell'ufficio (formulato, così come l'avviso di accertamento, con riferimento alla mancata istituzione, da parte della società, della scheda carburanti per ogni automezzo) pur avendo escluso (implicitamente e correttamente) l'applicazione nella fattispecie della normativa (dpr 444/97) in materia di schede carburanti (il cui utilizzo obbligatorio non sussiste dall'1.1.2019, per effetto della legge 205/2017). in tal modo avrebbe accolto il gravame incidentale sulla base di ragioni giuridiche e fattuali diverse da quelle illustrate nell'appello incidentale. 8. con l'ottavo motivo, rubricato «violazione e/o falsa applicazione del principio generale dell'ordinamento tributario di proporzionalità -(oggi) art. 10-ter legge 212/2000 - violazione art. 53 della costituzione e dell'art. 1, protocollo 1, della convenzione europea dei diritti dell'uomo - in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.». afferma che l'ufficio, pur dando atto che la documentazione prodotta dalla contribuente poteva giustificare un eventuale riconoscimento del costo sostenuto, aveva recuperato i costi per il carburante nella loro interezza, per mancanza del requisito della certezza (proprio per l'impossibilità di quantificare il consumo di carburante per ognuna delle due società ‘consorelle'). mentre la ctp aveva trovato un punto di ‘equilibrio' riconoscendo la deducibilità del 70% dei costi e la detraibilità dell'iva (essendo innegabile che i 30 automezzi avessero circolato nel 2011), il giudice di appello ha, invece, negato ‘ogni criterio di ragionevolezza e proporzionalità' ed afferma ‘l'assurdo ovvero che la società ha venduto ben otto milioni di euro di calcestruzzo senza averlo mai trasportato e consegnato ai clienti (in ciò, infatti, è la sostanza della sentenza di appello)' (pag. 32 del ricorso). negare completamente la deducibilità dei costi sostenuti dalla ricorrente sarebbe una scelta contraria al principio di proporzionalità dell'azione dell'amministrazione (oggi positivizzato nell'art. 10-ter della l. 212/2000), in quanto sacrifica il diritto del contribuente a favore dell'interesse erariale, risolvendosi in una vera e propria sanzione ingiustificata. 9. con il nono (ed ultimo) motivo di ricorso la contribuente lamenta, in relazione a tutte le altre riprese di cui all'avviso di accertamento, l'omessa motivazione, «la violazione art. 36, 2° comma, n. 4 dlgs. del 31.12.1992 in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.» per avere la cgt di secondo grado accolto l'appello erariale ‘anche sugli altri rilievi' dell'avviso di accertamento. 10. in via preliminare deve rilevarsi che, successivamente all'udienza di discussione ed alla riserva della decisione da parte di questa corte, è sopravvenuta la decisione della corte europea dei diritti dell'uomo (nella causa italgomme pneumatici s.r.l. e altri c. italia, ricorsi 36617/2018 e altri 12) sulla questione della violazione dell'art. 8 della cedu da parte dell'italia in materia di ‘accessi', ‘ispezioni' e ‘verifiche' delle autorità italiane presso i locali della società o, comunque, adibiti all'esercizio dell'attività professionale (disciplinati dagli ar tt. 51 e 52 dpr n. 633/72 e 32 e 33 dpr n. 600/73). la sentenza, non ancora definitiva, per non essere scaduto il termine di 90 giorni previsto dall'art. 44, § 2, della convenzione, dopo aver premesso che ‘secondo costante giurisprudenza, sebbene l'articolo 8 della convenzione, non contenga requisiti procedurali espliciti, il processo decisionale che conduce alle misure di ingerenza deve essere equo e tale da rispettare gli interessi tutelati al singolo dall'articolo 8', ha affermato, in particolare, i seguenti principi: -‘l'articolo 8 deve essere interpretato nel senso che include il rispetto della sede legale, delle succursali o di altri locali commerciali di una società […] nonché il rispetto dei locali adibiti all'attività professionale'; -pur non essendo equivalenti a perquisizioni e sequestri, le misure (ovvero gli accessi ai locali commerciali e le verifiche ivi effettuate) costituiscono una ‘ingerenza' nel diritto dei ricorrenti al rispetto del loro ‘domicilio' e della loro ‘corrispondenza' ai sensi dell'art. 8 della convenzione; -‘si riconosce che le autorità nazionali dispongono di un margine di discrezionalità più ampio quando si tratta dei locali commerciali di una persona giuridica o di locali adibiti ad attività professionali, piuttosto che quelli di una persona fisica'; -le garanzie previste per le perquisizioni e le ispezioni in generale ‘si applicano in modo meno rigoroso alle verifiche fiscali in loco', ma in ogni caso ‘i poteri relativamente ampi nelle fasi iniziali dei procedimenti fiscali non possono essere interpretati nel senso di conferire all'amministrazione finanziaria un potere discrezionale illimitato'; -in generale il difetto di una autorizzazione giudiziaria preventiva può essere compensata da altre garanzie efficaci contro gli abusi, come una procedura di reclamo soggetta a controllo giurisdizionale; -nella specie ‘le misure impugnate' hanno un fondamento giuridico nel diritto interno, sia per quanto riguarda la guardia di finanza (art. 35 l. 4/29) sia per quanto riguarda l'agenzia delle entrate (artt. 51 e 52 dpr n. 633/72 e 32 e 33 dpr n. 600/73), ma le condizioni indicate nella norme ‘non sono sufficienti a delimitare la portata del potere discrezionale conferito alle autorità nazionali'; pertanto, la base giuridica delle misure impugnate non è ‘in grado di delimitare in modo sufficiente l'ambito di discrezionalità conferito alle autorità nazionali e, di conseguenza, non soddisfa il requisito di "qualità del diritto" di cui all'articolo 8 della convenzione; -pur ribadendo la necessità di consentire poteri relativamente ampi nelle fasi iniziali dei procedimenti tributari ‘tali competenze devono essere delimitate in modo da evitare un margine di discrezionalità illimitato'; -nella specie il quadro giuridico interno non fornisce garanzie adeguate ed efficaci contro la guardia di finanza e l'autorità fiscale, che esercitano un ‘potere discrezionale illimitato', non essendo regolamentato il loro potere di valutare, in relazione all'accesso ed all'ispezione, ‘l'adeguatezza, il numero, la durata e la portata di tali operazioni e delle informazioni richieste ai contribuenti'; -infine, la mancanza di un'autorizzazione giudiziaria preventiva non è bilanciata da altre garanzie effettive ed adeguate contro gli abusi e l'arbitrarietà, ovvero da un controllo giurisdizionale ex post della loro legittimità, necessità e proporzionalità. 11. pertanto, con la decisione in questione sono stati rilevati profili di illegittimità negli accertamenti per contrasto con l'art. 8 cit. che potrebbero assumere rilevanza nel presente giudizio. appare quindi opportuno assegnare al pubblico ministero ed alle parti, ai sensi dell'art. 384, comma 3, c.p.c., un termine di gg. 60 dalla comunicazione della presente ordinanza per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla rilevanza della citata decisione nel caso di specie. riserva all'esito la decisione. p.q.m. la corte, visto l'art. 384, comma 3, c.p.c., assegna al pubblico ministero ed alle parti il termine di gg. 60 dalla comunicazione della presente ordinanza, per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione indicata in premessa. riserva all'esito la decisione.

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