Gli importi dovuti, ai sensi dell'art. 27 del ccnl 14.9.2000 (relativo al personale del comparto regioni ed autonomie locali ex art. 1 co. 208 della l. 266/2005 e dell'art. 9 del dl 90/2014, conv. l. 114/2014), all'avvocatura interna degli enti locali hanno natura retributiva e spettano al netto dell'irap. la p.a. datrice di lavoro può utilizzare, per corrispondere all'erario l'irap dovuta sulle retribuzioni dei suoi avvocati interni, le risorse presenti nel fondo esistente per pagare tali avvocati, per la parte in cui esse superino i limiti della retribuzione di detti dipendenti fissati dalla vigente normativa imperativa, dalla contrattazione collettiva o dal regolamento interno, e, ove queste somme non siano sufficienti, ulteriori risorse proprie esterne a tale fondo.

Ordinanza sul ricorso n. 6950/2019 proposto da: xxxx, rappresentata e difesa dall'avv. [omissis] ed elettivamente domiciliata in roma, presso l'avv. [omissis]; -ricorrente- contro provincia di [omissis], in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. [omissis] ed elettivamente domiciliata in roma, presso l'avv. [omissis]; -controricorrente- avverso la sentenza della corte d'appello di firenze n. 699/2018 pubblicata il 31 agosto 2018. udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere [omissis]. svolgimento del processo c. c., dipendente della provincia di [omissis] con funzioni di avvocato presso l'ufficio legale dell'ente, ha adito il tribunale di [omissis], lamentando di avere subito l'indebita trattenuta dell'irap da parte della provincia medesima a partire dal 2011. la ricorrente ha chiesto, quindi, la restituzione delle somme in questione. il tribunale di [omissis], nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 79/2017, ha accolto il ricorso. la provincia di [omissis] ha proposto appello che la corte d'appello di firenze, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 699/2018, ha accolto. c. c. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. la provincia di [omissis] si è difesa con controricorso. entrambe le parti hanno depositato memorie. motivi della decisione 1) secondo la descrizione dei fatti di causa contenuta nel ricorso per cassazione, il presente giudizio è stato introdotto da una dipendente della provincia di [omissis] con funzioni di avvocato presso l'ufficio legale dell'ente. senza alcun preavviso, la p.a. aveva iniziato, a decorrere dall'anno 2011, a trattenere l'irap sui suoi compensi professionali, senza neppure farlo risultare dalle buste paga. ciò in quanto la provincia di [omissis] aveva considerato il fondo da utilizzare per tali emolumenti come comprensivo dell'irap, accantonando le somme a questo fine necessarie e distribuendo il residuo. la presente controversia attiene, quindi, alla pretesa della ricorrente di vedersi corrispondere le somme che la provincia di [omissis] non aveva versato (a titolo di salario accessorio), sul presupposto che servissero a pagare l'irap gravante sul datore di lavoro. 2) con il primo e il secondo motivo che, per ragioni di connessione, possono essere trattati congiuntamente, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e degli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 446 del 1997. sostiene che l'irap, non rientrando fra gli oneri riflessi, non potrebbe essere trattenuta sullo stipendio degli avvocati pubblici dipendenti, dovendo restare a carico della p.a. datrice di lavoro, e che la provincia di [omissis] avrebbe male interpretato la giurisprudenza contabile in materia. la p.a., in particolare, avrebbe errato nel decurtare l'irap sulla medesima gravante dal fondo ove erano presenti le risorse per pagare i compensi professionali dei detti avvocati. in realtà, avrebbe solo potuto accantonare importi pari a tale irap, conformemente alla normativa in tema di bilancio, al fine di adempiere ai suoi obblighi tributari, ma, comunque, questa operazione non avrebbe potuto condurre al risultato pratico di ridurre i compensi de quibus in misura pari all'imposta citata. piuttosto, sarebbe stato onere della provincia di [omissis] accantonare risorse sufficienti sia a pagare integralmente i lavoratori sia a soddisfare l'erario. nella specie, la p.a. avrebbe realizzato un'indebita traslazione dell'imposta dall'ente al lavoratore, trasformando l'irap da tributo reale a prelievo sul reddito. 3) preliminarmente, occorre ricostruire la disciplina applicabile nella fattispecie. 3.1) l'art. 69, comma 2, del dpr n. 268 del 13 maggio 1987, norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali, intitolato "professionisti legali", prevedeva che "al predetto personale spettano altresì i compensi di natura professionale previsti dal rd 27.11.1933, n. 1578, recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente". l'art. 69 citato è stato confermato, a livello nazionale, dall'art. 50 del dpr n. 333 del 1990 e recepito dall'art. 52 della legge regione toscana n. 62 del 1987, denominato "professionisti legali", per il quale: "1. fermi restando gli inquadramenti nei profili professionali previsti dalla normativa vigente, ai professionisti legali della regione toscana al conseguimento rispettivamente della qualifica di avvocato e avvocato cassazionista è riconosciuto un compenso pari all'1% dello stipendio tabellare base indicato nel precedente art. 31 da aggiungere al maturato economico di anzianità. 2. al predetto personale spettano altresì i compensi di natura professionale previsti dal rd 27 novembre 1933, n. 1578 recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente". successivamente, la legge regione toscana n. 51 del 1989, testo unico delle leggi sul personale (poi abrogato dall'art. 1 della legge regione toscana n. 11 del 2002), pur abrogando, con l'art. 164, la legge regione toscana n. 62 del 1987, ha sostanzialmente confermato, con l'art. 134 (professionisti legali), la previsione del menzionato art. 52 di quest'ultima legge. il ccnl normativo 1998 - 2001 economico 1998 - 1999 del 1° aprile 1999 ha stabilito, quindi, all'art. 28 (disapplicazioni), che: "1. dalla data di stipulazione del presente ccnl e del ccnl sulla revisione del sistema di classificazione del personale stipulato in data 31.3.1999 sono inapplicabili, nei confronti del personale del comparto, tutte le norme previgenti con essi incompatibili in relazione ai soggetti ed alle materie dalle stesse contemplate e, in particolare, le seguenti disposizioni: (…); - artt. 10, 21, escluso comma 4, 57, 58, 59, 62, comma 1, 69, comma 1, 71 e 73 del dpr 268/87;". in seguito, l'art. 37 ("norma per gli enti provvisti di avvocatura") del ccnl del 23 dicembre 1999, comparto regioni - enti locali contratto collettivo nazionale di lavoro area della dirigenza 1998 - 2001, ha disposto che: "1. gli enti provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 valutando l'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati, dalla erogazione della retribuzione di risultato. sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'avvocatura dello stato anche prima della stipulazione del presente ccnl". l'art. 27 del ccnl del 14 settembre 2000 per il personale non dirigenziale del comparto delle regioni e delle autonomie locali successivo a quello del 1° aprile 1999, ha prescritto, poi, che: "gli enti provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all'art. 10 del ccnl del 31.3.1999. sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'avvocatura dello stato anche prima della stipulazione del presente ccnl". l'art. 51 ("disapplicazioni"), di quest'ultimo ccnl ha anche disposto che: "1. dalla data di stipulazione del presente ccnl, ai sensi dell'art. 72, comma 1, del dlgs. n. 29/93, cessano di produrre effetti le norme generali e speciali del pubblico impiego ancora vigenti, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro. 2. dalla data di cui al comma 1 sono inapplicabili le norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro e quelle emanate dai singoli enti del comparto, in esercizio di potestà legislativa o regolamentare, incompatibili con il presente ccnl". pertanto, con l'entrata in vigore del ccnl del 14 settembre 2000, tutte le disposizioni precedenti che regolavano la materia in esame hanno cessato di avere applicazione. il compenso degli avvocati degli enti locali è stato regolato, quindi, da tale data, direttamente dagli enti provvisti di avvocatura, secondo i principi di cui al regio decreto-legge n. 1578 del 1933, ma "sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'avvocatura dello stato anche prima della stipulazione del presente ccnl". la disciplina vigente per l'avvocatura dello stato (che, dunque, è "fatta salva" dalla contrattazione collettiva) era contenuta nell'art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933, approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello stato e sull'ordinamento dell'avvocatura dello stato che, all'epoca della sottoscrizione del ccnl del 14 settembre 2000, per quel che rileva, stabiliva che: "l'avvocatura generale dello stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione. con l'osservanza delle disposizioni contenute nel titolo ii della legge 25 novembre 1971, n. 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per otto decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per due decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello stato. la ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione. negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni dello stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà corrisposta dall'erario all'avvocatura dello stato, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente, sarà corrisposta dall'erario la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione". 3.2) nel 2014 si è avuta una rivisitazione globale della materia, con l'art. 9 del dl n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014. si tratta di una normativa complessa che, nel periodo che qui interessa, stabilisce, al comma 1, che "i compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'avvocatura dello stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni". il comma 3 prescrive che "nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. la parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell'amministrazione". i commi 5 e 6, poi, dispongono che "i regolamenti dell'avvocatura dello stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali. i suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresì i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parità di trattamento e di specializzazione professionale" e che "in tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'avvocatura dello stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. nei giudizi di cui all'articolo 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. il suddetto stanziamento non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013". infine, il comma 7 precisa che "i compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo". 3.3) ulteriori disposizioni importanti nella fattispecie sono quelle di cui ai commi da 176 a 208 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005, fra le quali rilevano quelle contenute nei seguenti commi: "178. in deroga a quanto stabilito dall'articolo 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i maggiori oneri di personale del biennio contrattuale 2004-2005 derivanti dall'attuazione del protocollo di intesa sottoscritto dal governo e dalle organizzazioni sindacali il 27 maggio 2005, per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, sono posti a carico del bilancio dello stato per un importo complessivo di 220 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006. la presente disposizione non si applica alle regioni a statuto speciale, alle province autonome di trento e di bolzano, nonché agli enti locali ricadenti nel territorio delle regioni friuli-venezia giulia e valle d'aosta e delle province autonome di trento e di bolzano. per gli enti del servizio sanitario nazionale si applica il comma 182. (..) 181. le somme indicate ai commi 176, 177 e 178, comprensive degli oneri contributivi e dell'irap di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468. (…) 185. le somme di cui ai commi 183 e 184, comprensive degli oneri contributivi e dell'irap di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468. (…) 189. a decorrere dall'anno 2009, l'ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello stato, delle agenzie, incluse le agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e quelli pubblici indicati all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle università, determinato ai sensi delle rispettive normative contrattuali, non può eccedere quello previsto per l'anno 2004 come certificato dagli organi di controllo di cui all'articolo 48, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e, ove previsto, all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ridotto del 10 per cento. (…) 192. a decorrere dal 1° gennaio 2006, al fine di uniformare i criteri di costituzione dei fondi, le eventuali risorse aggiuntive ad essi destinate devono coprire tutti gli oneri accessori, ivi compresi quelli a carico delle amministrazioni, anche se di pertinenza di altri capitoli di spesa. (…) 198. le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché gli enti del servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'irap, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento. a tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. 199. ai fini dell'applicazione del comma 198, le spese di personale sono considerate al netto: a) per l'anno 2004 delle spese per arretrati relativi ad anni precedenti per rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro; b) per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 delle spese derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro intervenuti successivamente all'anno 2004. 200. gli enti destinatari del comma 198, nella loro autonomia, possono fare riferimento, quali indicazioni di principio per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa di cui al comma 198, alle misure della presente legge riguardanti il contenimento della spesa per la contrattazione integrativa e i limiti all'utilizzo di personale a tempo determinato, nonché alle altre specifiche misure in materia di personale. (…) 206. le disposizioni dei commi da 198 a 205 costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della costituzione. (…) 208. le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro". 3.4) pertanto, è dato individuare tre periodi rilevanti nella presente materia, cronologicamente parlando. il primo, che termina il 31 dicembre 2005, durante il quale tale materia è disciplinata dall'art. 69, comma 2, del dpr n. 268 del 13 maggio 1987 e dall'art. 27 del ccnl del 14 settembre 2000 per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali successivo a quello del 1° aprile 1999, secondo i principi di cui al regio decreto-legge n. 1578 del 1933 e la regolamentazione vigente per l'avvocatura dello stato contenuta nell'art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933. l'avvocato-dipendente riceve un compenso accessorio tratto delle somme riscosse dall'ente datore di lavoro a titolo di competenze di procuratore e onorari di avvocato poste a carico delle controparti, conformemente alla citata normativa, alla contrattazione collettiva e al regolamento interno del datore di lavoro. a tale quota si somma un ulteriore importo, eventualmente stabilito nei regolamenti interni e con i limiti ivi indicati, relativo alle controversie definite con sentenza favorevole per l'ente, ma con compensazione delle spese legali. il secondo, che decorre dal 1° gennaio 2006, con l'entrata in vigore della legge n. 166 del 2005, nel quale, alla disciplina sopra menzionata, si aggiunge la prescrizione (contenuta nell'art. 1, comma 208, di quest'ultima legge) per la quale gli oneri riflessi gravano sull'avvocato-dipendente della p.a. il terzo e ultimo, che inizia con l'entrata in vigore dell'art. 9 del dl n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, che riforma gli onorari dell'avvocatura generale dello stato e delle avvocature degli enti pubblici. 4) dalla normativa trascritta possono ricavarsi le prescrizioni che consentono di definire la controversia. 4.1) innanzitutto, le disposizioni elencate pongono una prima regola generale, in base alla quale parte della retribuzione degli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni è costituita da quote delle somme riscosse dall'ente a titolo di competenze di procuratore e onorari di avvocato e poste a carico delle controparti, eventualmente maggiorate degli importi previsti dalle disposizioni regolamentari quanto alle controversie definite con sentenza favorevole, ma con compensazione delle spese. l'art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933 indicava in otto decimi, per gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio, questo importo, nelle ipotesi di soccombenza delle controparti; nei casi di pronunciata compensazione di spese e di pronunce favorevoli andava corrisposta, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente (se la compensazione era parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente, sarebbe stata pagata "la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione"). questa disciplina è stata confermata dall'art. 27 del ccnl del 14 settembre 2000, che, pur rimettendo al regolamento interno la determinazione dei compensi, faceva salvi gli atti di recepimento della disciplina fissata per gli avvocati ed i procuratori dello stato appena ricordata. analoghe indicazioni possono trarsi dai commi 3 e 6 dell'art. 9 del dl n. 90 del 2014, riportati al paragrafo 3.2), al quale si rinvia. 4.2) un secondo precetto essenziale per definire la lite è quello in base al quale la disciplina di questa componente delle entrate degli avvocati dipendenti degli enti pubblici è contenuta, oltre che, chiaramente, nella legge, nella contrattazione collettiva e nei regolamenti interni degli enti interessati. in questo senso depongono i citati artt. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933 e 27 del ccnl del 14 settembre 2000, la cui impostazione complessiva è stata confermata dall'art. 9 del dl n. 90 del 2014, il quale ha stabilito, al comma 3, che detti compensi spettino "nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7 (…)", al comma 5, che "i regolamenti dell'avvocatura dello stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali" e, al comma 6, che "sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto". nessun collegamento con la normativa sulla contabilità pubblica è ricavabile dalle disposizioni citate. 4.3) terza prescrizione rilevante e che si ricava dal complessivo sistema normativo sopra riportato è che esistono dei limiti all'erogazione di somme da parte della p.a. in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile. già la disciplina vigente per l'avvocatura dello stato, richiamata dall'art. 27 del ccnl del 14 settembre 2000, indicava limiti massimi della ripartizione, attraverso il riferimento al riscosso e ai criteri di attribuzione in caso di pronunce favorevoli con compensazione delle spese. l'art. 1 della legge n. 266 del 2005 contiene prescrizioni di analogo tenore, alcune concernenti i dipendenti in generale, altre categorie specifiche, come gli avvocati. in questo senso, possono, esemplificativamente, menzionarsi: - il comma 181, per il quale "le somme indicate ai commi 176, 177 e 178, comprensive degli oneri contributivi e dell'irap di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468"; - il comma 185, secondo cui "le somme di cui ai commi 183 e 184, comprensive degli oneri contributivi e dell'irap di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468"; - il comma 189, secondo il quale "a decorrere dall'anno 2009, l'ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello stato, delle agenzie, incluse le agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e quelli pubblici indicati all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle università, determinato ai sensi delle rispettive normative contrattuali, non può eccedere quello previsto per l'anno 2004 come certificato dagli organi di controllo di cui all'articolo 48, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e, ove previsto, all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ridotto del 10 per cento; - il comma 198, il quale impone che "le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché gli enti del servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'irap, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento. a tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni". infine, prescrizioni di ugual tipo sono presenti ai commi 1 e 7 dell'art. 9 del dl n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, riportati al paragrafo 3.2), al quale si rinvia. se ne ricava che, a prescindere da quanto previsto dalla contrattazione collettiva e dai regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può sorgere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni sopra menzionate e da altre analoghe prescrizioni che, di anno in anno, impongono limiti alla capacità di spesa della p.a., che o possono essere direttamente fissate dalla legge in via inderogabile e determinata o devono essere stabiliti dalla medesima p.a. con atti organizzativi interni, la cui sussistenza va allegata e dimostrata dall'ente che ne voglia eccepire la vigenza. 4.4) da ultimo, il quarto precetto che va osservato è quello imposto dall'art. 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005, per il quale "le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro", e dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale (corte costituzionale n. 156 del 2001; cass., su, n. 12111 del 26 maggio 2009; cass., sez. 6-5, n. 23333 del 16 novembre 2016; cass., sez. l, n. 20010 del 21 giugno 2022), secondo cui l'irap è un'imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, con la conseguenza che essa, pertanto, non può che gravare sul datore di lavoro. ne deriva che non sono ammesse condotte della p.a. datrice di lavoro che, dopo avere tenuto necessariamente conto dei limiti all'erogazione di somme, da parte sua in favore dei propri avvocati-dipendenti, gravanti complessivamente sul suo bilancio, e avere operato i correlati dovuti accantonamenti, realizzino, in via diretta o indiretta, la traslazione dell'imposta in esame dalla medesima p.a. all'avvocato dipendente. 5) ricapitolando, vi sono quattro regole generali che disciplinano la materia e che conducono alla decisione della controversia: 1) parte della retribuzione degli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni è costituita da quote delle somme riscosse dall'ente a titolo di competenze di procuratore e onorari di avvocato e da importi attribuiti dal datore di lavoro, in base alle previsioni contenute nel regolamento interno approvato, per le controversie definite con sentenza favorevole, ma con spese compensate; 2) la disciplina di questa componente delle entrate degli avvocati dipendenti di siffatti enti è contenuta, oltre che nella legge, nella contrattazione collettiva e nei regolamenti interni delle amministrazioni interessate e prescinde dalla normativa sulla contabilità pubblica; 3) vi sono dei limiti all'erogazione di somme da parte della p.a. in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile: a prescindere, quindi, dalle prescrizioni della contrattazione collettiva e dei regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può esistere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, impongono vincoli alla capacità di spesa della p.a., che o possono essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata o devono essere stabiliti dalla medesima p.a. con atti organizzativi interni, la cui sussistenza va allegata e dimostrata dall'ente che ne voglia eccepire la vigenza; 4) le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, mentre l'irap, essendo un'imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, grava inderogabilmente sulla p.a. datrice di lavoro con la conseguenza che, una volta rispettati i limiti di cui sub 3) e operati i correlati dovuti accantonamenti, non sono ammesse condotte della stessa p.a. che, in via diretta o indiretta, comportino la traslazione dell'imposta in esame da essa all'avvocato dipendente. tali regole portano delle conseguenze. innanzitutto, la pretesa degli avvocati-dipendenti al pagamento degli importi in questione, avanzata nei confronti della p.a. datrice di lavoro, ha natura retributiva. inoltre, il giudizio introdotto per ottenere detto pagamento ha ad oggetto un'azione di adempimento. ne deriva che, in tale giudizio, troveranno applicazione i principi espressi da cass., su, n. 13533 del 30 ottobre 2001, secondo la quale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile all'eventualità in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in questo caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). anche qualora sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. l'avvocato dipendente, quindi, agirà indicando la fonte, legale, contrattuale o regolamentare del suo diritto, dimostrerà di avere eseguito, con riguardo all'annualità di riferimento, la prestazione alla quale siffatta fonte ricollega la nascita del suo credito retributivo e allegherà l'inadempimento della p.a. quest'ultima, a sua volta, per provocare il rigetto del ricorso, oltre a provare il suo adempimento (o l'impossibilità assoluta e oggettiva dello stesso), potrà contestare la sussistenza in sé del credito, sostenendo che, in base all'interpretazione della legge, della contrattazione collettiva o del regolamento interno esso non è sorto, in assoluto o nei termini prospettati. in aggiunta, potrà prospettare la presenza di limiti all'erogazione di somme in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile. ciò perché, a prescindere dalle previsioni della contrattazione collettiva e dei regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può sorgere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, impongono vincoli alla capacità di spesa della p.a. i menzionati limiti possono o essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata o essere stabiliti dalla medesima p.a. con atti organizzativi interni. nel primo caso, il giudice potrà accertare d'ufficio la presenza del vincolo, in base al principio iura novit curia, e tenerne conto; nel secondo, la sussistenza del citato atto organizzativo interno va allegata e, soprattutto, dimostrata dall'ente che ne eccepisca la concreta vigenza. avvenuto l'accertamento del diritto dell'avvocato dipendente al pagamento di un dato importo per la causale oggetto di causa sulla base della previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme in questione sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'irap, che grava inderogabilmente sulla p.a. datrice di lavoro, la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci. per l'esattezza, occorre evidenziare che, una volta rispettati i vincoli esistenti alla capacità di spesa della p.a., qualora dalla contrattazione collettiva o dal regolamento interno risulti che sul fondo oggetto di causa è presente una certa somma destinata agli avvocati dipendenti, senza la precisazione che l'irap andrà compresa in questa, i lavoratori avranno diritto (salva, come precisato, la prova dell'adempimento o dell'impossibilità non imputabile dello stesso) a detta somma, mentre il tributo dovrà essere pagato dalla p.a. o con ulteriori risorse allocate sul medesimo fondo o con importi di diversa provenienza. ciò perché, avvenuto l'accertamento del diritto dell'avvocato dipendente al pagamento di un dato importo per la causale oggetto di causa sulla base della previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme de quibus sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'irap, che grava inderogabilmente sulla p.a. datrice di lavoro, la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci, la violazione della quale, eventualmente, potrà emergere sotto forma di responsabilità del dirigente, del funzionario o del dipendente che l'abbiano causata. 6) questa ricostruzione trova conforto anche nella giurisprudenza contabile, amministrativa e ordinaria in materia. 6.1) iniziando da quella contabile, va menzionato il parere n. 33 del 2010 delle sezioni riunite della corte dei conti, al quale si riferiscono le parti e, soprattutto, la corte territoriale. detto parere è stato emesso all'esito di una vicenda che ha riguardato delle problematiche sottoposte dalle sezioni regionali di controllo per il veneto e per il piemonte all'ufficio di coordinamento della sezione delle autonomie per avviare il procedimento di deferimento delle questioni alle sezioni riunite in sede di controllo ex art. 17, comma 31, del dl n. 78 del 2009. venivano in rilievo delle fattispecie similari, relative alla computabilità dell'irap in sede di determinazione: a) dei compensi professionali incentivanti dovuti agli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni (art. 1, comma 208, legge n. 266 del 1995); b) delle somme spettanti a titolo di incentivo al personale tecnico dipendente delle pubbliche amministrazioni per l'attività di direzione lavori, progettazione, ecc. delle opere e dei lavori (art. 92, comma 5, del dlgs. n. 163 del 2006). le due fattispecie, pur nella diversità delle fonti normative che le disciplinano, sono caratterizzate da un comune elemento, costituito dall'esigenza di chiarire se i compensi dovuti dall'amministrazione ai detti soggetti dipendenti della pubblica amministrazione debbano essere corrisposti al netto o al lordo dell'irap (ossia se l'irap debba rimanere a carico del lavoratore ovvero dell'amministrazione). il parere de quo affronta, soprattutto, le argomentazioni portate dalla sezione regionale per la lombardia (deliberazioni n. 4 dell'11 febbraio 2008, e n. 101 del 4 dicembre 2008), secondo la quale, in sede di corresponsione degli emolumenti agli aventi titolo, l'amministrazione deve trattenere dalla somma ad essi spettante la quota necessaria a pagare l'irap. quest'ultima tesi muove, nella sostanza, dalla considerazione che, in base alle disposizioni della legge finanziaria, le risorse per fronteggiare gli oneri di personale comprendono anche l'irap a carico dell'amministrazione. ne discende che, se dal calcolo del fondo di progettazione interna o di quello destinato agli avvocati interni non fosse sottratta la quota irap, l'ente locale si troverebbe a corrispondere ai dipendenti un importo superiore, con conseguente maggiore aggravio di oneri di imposta a titolo irap che, peraltro, rimarrebbero privi di adeguata copertura. in proposito, secondo la sezione di controllo per la regione lombardia, "pur tenendo conto che gli enti pubblici sono autonomi soggetti passivi ai fini dell'irap e che l'ammontare delle retribuzioni di lavoro dipendente costituisce unicamente la base imponibile per la determinazione dell'imposta, non si può fare a meno di osservare che se dal calcolo del fondo di progettazione interna fosse esclusa l'irap, l'ente locale si troverebbe a corrispondere ai dipendenti un importo superiore, con conseguente maggior aggravio di imposta irap. si tratterebbe di una duplicazione dell'onere a carico del comune che non trova alcuna giustificazione nel contesto del contenimento della spesa pubblica" (deliberazione n. 4 dell'11 febbraio 2008). la sezione per la lombardia aggiunge che, nell'ambito delle risorse finanziarie per la contrattazione collettiva del personale della pubblica amministrazione (art. 181 e 185 della legge n. 266 del 2005), l'onere relativo all'irap è espressamente compreso e che tra le componenti del costo del personale che gli enti locali devono prendere in considerazione al fine del contenimento è inclusa l'irap (art. 198 ss. della legge n. 266 del 2005). pertanto, "se si considera che l'irap viene commisurata per le amministrazioni pubbliche alla spesa per il personale, ne consegue che l'incremento per retribuzione accessoria, a qualsiasi titolo, del personale determina anche l'espansione dell'imposta, che non troverebbe più copertura sul bilancio dello stato" (deliberazione n. 101 del 4 dicembre 2008). nel rispondere a questa ricostruzione, molto simile a quella della corte d'appello di firenze nella presente controversia e non lontana dalla tesi della p.a., il parere n. 33 del 2010 delle sezioni riunite della corte dei conti evidenzia che, «nell'ambito della legge n. 266 del 1995, si possono individuare due blocchi di norme: il primo, che comprende i commi dal 176 al 206, regolamenta i fondi per il finanziamento dei contratti collettivi integrativi e le connesse modalità di copertura degli oneri; il secondo, composto dai commi 207 e 208, disciplina i compensi professionali; questi ultimi commi, si è già detto, prendono in considerazione il trattamento economico dei lavoratori, senza che si faccia riferimento all'irap, costituendo un onere fiscale che grava sull'ente datore di lavoro (corte conti, sez. reg. di controllo per il veneto, n. 022/2008/cons; n. 049/2008/cons; sez. reg. di controllo per l'emilia-romagna, n. 34/2007/parere 4; sez. reg. controllo per l'umbria, n. 1/2008/p). diversamente, il primo blocco di disposizioni disciplina la provvista delle risorse finanziarie per far fronte a "tutti gli oneri" derivanti dalle spese di personale, ivi inclusi i fondi "per l'incentivazione alla progettazione" e "per il pagamento dei compensi professionali dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche"; sicché, ai sensi delle richiamate disposizioni, le somme da destinare a detti fondi devono essere calcolate accantonando, a fini di copertura, la quota parte occorrente all'amministrazione per fronteggiare gli oneri che sulla stessa gravano a titolo di irap (corte conti, sez. reg. di controllo per la lombardia, n. 4/pareri/2008 e n. 101/pareri/2008; sez. reg. di controllo per il veneto, n. 049/2008/cons). difatti, detti compensi concorrono alla determinazione della base imponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 10-bis del dlgs. 15 dicembre 1997, n. 446, secondo cui le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del dlgs. 30 maggio 2001, n. 165, ai fini della determinazione della base imponibile irap, devono tenere conto anche delle retribuzioni da erogare al personale dipendente (agenzia delle entrate, risoluzione n. 327/e del 14 novembre 2007). in effetti, dalle norme da ultimo citate (commi da 176 a 206) viene in rilevo che, in coerenza con quanto stabilito nell'art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le somme indicate per fronteggiare in materia di pubblico impiego gli oneri di spesa, ivi inclusi i fondi di produttività e per i miglioramenti economici, costituiscono le disponibilità complessive massime e, pertanto, non superabili. in sostanza, sui bilanci dello stato o degli altri enti pubblici, non potranno gravare ulteriori oneri che non trovino adeguata copertura. può dunque ritenersi che i c.d. due blocchi di disposizioni sono tra loro coerenti, in quanto le une disciplinano le quantificazioni e le coperture degli oneri del personale; le altre riguardano la determinazione dei compensi spettanti ad avvocati interni e personale tecnico. ne discende che le disponibilità di bilancio da destinare ai "fondi" da ripartire non possono che essere quantificate al netto delle somme destinate (o destinabili) a coprire gli oneri che gravano sull'amministrazione a titolo di irap, poiché, diversamente, una discorde interpretazione confliggerebbe non solo con il chiaro disposto delle richiamate disposizioni, ma anche con il principio di copertura degli oneri finanziari (art. 81, quarto comma, cost.). infatti, se si considera che l'irap viene commisurata per le amministrazioni pubbliche alla spesa per il personale, l'incremento della retribuzione accessoria spettante, a qualsiasi titolo, determina anche l'espansione dell'imposta che deve, comunque, trovare copertura nell'ambito delle risorse quantificate e disponibili, in linea con l'obiettivo del contenimento di ogni effetto di incremento degli oneri di personale gravanti sui bilanci degli enti pubblici. pertanto, ai fini della quantificazione dei fondi per l'incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull'ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di irap. quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli "oneri assicurativi e previdenziali" e degli "oneri riflessi", che non includono, per le ragioni sopra indicate, l'irap. può concludersi nel senso che, mentre sul piano dell'obbligazione giuridica, rimane chiarito che l'irap grava sull'amministrazione (secondo blocco delle citate disposizioni), su un piano strettamente contabile, tenuto conto delle modalità di copertura di "tutti gli oneri", l'amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili ad avvocati e professionisti, accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l'onere irap, come avviene anche per il pagamento delle altre retribuzioni del personale pubblico (primo blocco delle citate disposizioni). pertanto, le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l'irap) si riflette, in sostanza, sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l'avvocatura interna ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell'onere irap gravante sull'amministrazione». il significato da attribuire alle affermazioni sopra riportate è alla base del contrasto fra le parti della presente lite. per individuarlo occorre tenere conto, innanzitutto, che il parere in questione ha avuto a oggetto l'inclusione, o meno, dell'imposta regionale sulle attività produttive (irap) dovuta dall'ente tra gli oneri che, come quelli riflessi, vanno a diminuire i compensi professionali da erogare (ai sensi dell'art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 2005, n. 266) ai propri dipendenti che rivestono la qualifica di avvocato, in relazione al patrocinio di cause concluse con sentenza favorevole e che la risposta data dalle sezioni riunite è stata nel senso di negare detta inclusione. pertanto, l'operatività dell'irap dal punto di vista tributario non poteva comportare una diminuzione, dal lato civilistico, del compenso degli avvocati dipendenti pubblici. inoltre, da quanto chiarito dalla corte dei conti, non è prospettabile alcuna forma di traslazione dell'irap, dovuta dall'ente pubblico, a carico del lavoratore. la traslazione delle imposte è il fenomeno che si verifica quando il contribuente (cosiddetto contribuente di diritto o percosso), riversa parte o l'intera quota del tributo dovuto su un altro contribuente (cosiddetto contribuente di fatto o inciso). perché possa verificarsi la traslazione occorre, però, che l'imposta abbia determinate caratteristiche. infatti, deve avere ad oggetto beni o servizi che il contribuente di diritto produce per lo scambio e il prezzo dei quali possa essere aumentato. per queste ragioni, ad esempio, sono imposte non trasferibili le imposte dirette personali sul reddito globale o sul patrimonio. questo aspetto è di estrema importanza perché, essendo l'irap un'imposta sul patrimonio, essa, per sua natura, non può essere traslata su un contribuente di fatto, potendo incidere, alla fine, solo su quello di diritto. alla luce di questi rilievi vanno intese le affermazioni presenti nel parere n. 33 del 2010. così, quando recita che «ai fini della quantificazione dei fondi per l'incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull'ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di irap», il participio "accantonate" non equivale a "detratte dal compenso dei dipendente", ma indica la necessità di tenere separati, contabilmente, questi importi da quelli, presenti nel medesimo fondo, ma destinati agli avvocati interni. non a caso, la corte dei conti continua evidenziando che «quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli "oneri assicurativi e previdenziali" e degli "oneri riflessi", che non includono, per le ragioni sopra indicate, l'irap». il pagamento al netto non interessa, allora, l'irap che, invece, non può, per il solo fatto di dovere essere "contabilmente accantonata", avere l'effetto di diminuire il compenso spettante, in base alla normativa e alla contrattazione vigenti, al dipendente. il parere n. 33 del 2010 ha chiaramente scisso il profilo giuridico-contrattuale, che attiene all'esecuzione del rapporto di lavoro e al diritto dell'avvocato dipendente a ricevere esattamente il compenso dovutogli senza subire detrazioni in ragione dell'operare dell'irap, da quello contabile, che concerne l'allocazione delle risorse a bilancio e la loro destinazione. d'altronde, se si prescindesse da tale distinzione e si seguisse la tesi della sezione regionale per la lombardia, si verificherebbe l'inconsueto fenomeno per il quale l'effetto economico dell'imposta (che, alla fine, è quello che rileva dal punto di vista del diritto tributario) colpirebbe, riducendolo, il reddito di un soggetto diverso da quello tenuto al pagamento. ciò, però, si tradurrebbe, in fatto, nella realizzazione di un'inammissibile traslazione che, se consentita, renderebbe atipiche le modalità operative dell'irap, che si comporterebbe, in concreto, non più come un tributo sul patrimonio del datore di lavoro, ma come un prelievo sul reddito del lavoratore. a nulla rileverebbe che, formalmente, non vi sia stata una trattenuta a titolo di irap nella busta paga dei lavoratori, ma, in teoria, una riduzione, a monte e in proporzione all'ammontare irap, delle risorse che, in base alla regolamentazione interna, sono distribuibili tra detti dipendenti a titolo di compensi professionali. quello che conta è che parte dei fondi che sarebbero serviti a corrispondere al dipendente quanto legalmente e contrattualmente dovutogli non siano stati destinati a questo scopo, a prescindere dalla ragione della condotta della p.a. quest'ultima, infatti, nell'ambito del rapporto di lavoro, è il debitore della retribuzione e, quindi, è tenuta a pagarla o, eventualmente, a dare prova di essersi trovata nell'impossibilità, ad essa non imputabile, di corrisponderla. al contrario, non può giustificare quello che, nella sostanza, è un inadempimento, opponendo l'operare delle regole sulla contabilità pubblica atteso che esse non concernono il profilo dell'adempimento, ma, come chiarito dalle sezioni riunite della corte dei conti, operano in un ambito ben distinto e non possono incidere sull'esecuzione dell'obbligazione contrattuale. alla fine, la materia dei fondi (e dell'allocazione delle risorse fra di loro) è questione che interessa la p.a., la quale ne determinerà il contenuto ex ante, tenendo conto, per quel che qui rileva, di ciò che spetterà agli avvocati dipendenti e dell'irap da versare di conseguenza. non riguarda, invece, il dipendente, che non può patire le conseguenze della condotta del datore di lavoro che, nel quantificare, in precedenza, le somme destinate al fondo oggetto di lite (è il fondo specifico per l'avvocatura contenuto nel più ampio fondo destinato alle politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività di cui all'art. 17 del ccnl 1° aprile 1999) non le determini in una misura che consenta sia il completo pagamento delle retribuzioni dovute (già note, essendo prefissate dalla legge, dalla contrattazione collettiva o dal regolamento della medesima p.a.) sia quello dell'irap. in conclusione, questo collegio reputa che la giurisprudenza contabile citata confermi, sostanzialmente, le quattro regole generali sopra enunciate, ossia: 1) la natura retributiva delle somme de quibus; 2) l'estraneità del profilo della corresponsione dei compensi professionali dovuti ex art. 1, comma 208, legge n. 266 del 2005 (richiamato espressamente dal parere n. 33 del 2010 delle sezioni riunite della corte dei conti), al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali (e, si deve ritenere, della regolamentazione interna) rispetto alla fase attinente alla determinazione dei fondi e all'individuazione dei costi complessivi che l'ente pubblico dovrà sostenere; 3) l'esistenza di limiti all'erogazione di somme da parte della p.a. in favore dei suoi avvocati-dipendenti; 4) l'inderogabile incidenza dell'irap a carico della p.a. 6.2) questa ricostruzione trova conforto anche dall'esame della giurisprudenza amministrativa in materia. in particolare, è opportuno tenere conto della sentenza n. 5817 del 2 luglio 2024 della settima sezione del consiglio di stato, che ha affermato la legittimità della disciplina regolamentare adottata dal comune di firenze (articolo 16, comma 7, del regolamento, come modificato nel 2017), secondo cui "dall'ammontare complessivo delle risorse come sopra quantificate deve essere dedotta e accantonata l'irap gravante sulle retribuzioni erogate al personale. i compensi si determinano e si erogano al netto di quanto necessario a coprire gli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'ente". questa decisione ha considerato che i compensi erogati agli avvocati delle pubbliche amministrazioni erano, nel caso in esame, regolati dall'art. 9 del dl n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014 e che il regolamento del comune di firenze costituiva attuazione del comma 3 di detto art. 9, in base al quale "nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. la parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell'amministrazione". il consiglio di stato ha evidenziato che l'impianto complessivo della citata normativa del 2014 era "visibilmente correlato all'esigenza di coprire il maggiore trattamento retributivo spettante al personale dell'avvocatura esclusivamente attraverso le entrate derivanti dai compensi professionali effettivamente recuperati dall'amministrazione. in questo senso, quindi, è del tutto coerente col disposto normativo una previsione regolamentare attuativa che imputi al fondo i costi e gli oneri correlati alla percezione degli stessi oneri professionali" e che, quindi, consenta la parziale decurtazione del medesimo fondo per soddisfare gli oneri fiscali. ha riconosciuto, altresì, che, "fermi restando i vincoli della contrattazione collettiva, spetta a ciascuna amministrazione il potere di definire la misura complessiva dei compensi da ripartire tra gli avvocati, beninteso nel rispetto di adeguati criteri di ragionevolezza". il consiglio di stato, allora, non ha stabilito che l'irap potesse gravare sugli avvocati dipendenti, ma ha solo ammesso la possibilità di fare confluire sul fondo destinato a compensarli le risorse destinate al tributo. non a caso, ha messo in evidenza che proprio la norma primaria indicata disciplinava l'evenienza che il fondo, ove non completamente utilizzato per il trattamento economico integrativo degli avvocati, fosse riversato al bilancio dell'amministrazione. ciò significava, evidentemente, che, per la detta norma primaria, l'insieme delle somme confluite nel fondo avrebbe potuto legittimamente non essere impegnato, nella sua interezza, per integrare il compenso dell'attività professionale degli avvocati pubblici. peraltro, il consiglio di stato ha confermato, così dissentendo dall'impostazione della p.a., che, comunque, "la previsione legislativa non impone affatto l'obbligo incondizionato di attingere al fondo per coprire gli oneri dell'irap, ma solo comporta la legittimità di norme regolamentari che contengano siffatta previsione. simmetricamente, quindi, l'amministrazione potrebbe stabilire di farsi carico di tali oneri se in possesso di adeguate fonti di copertura". coerentemente, dà il giusto peso, in questo ambito, alla contrattazione collettiva, chiarendo che questa "ben potrebbe introdurre diverse modalità di alimentazione del fondo e, certamente, potrebbe stabilire che l'irap resti a carico integrale dell'amministrazione, senza intaccare il fondo". il consiglio di stato, pertanto, ha radicalmente escluso che dalla normativa in tema di contabilità pubblica discenda un obbligo per la p.a. di sottrarre, ab origine, l'irap dai compensi dovuti agli avvocati dipendenti e ha ribadito "il divieto di qualsiasi trattenuta in sede di liquidazione dei compensi" a tale titolo, osservando "che la giurisprudenza prevalente della cassazione è orientata nel senso di individuare nell'amministrazione e non nei singoli avvocati, il soggetto passivo dell'obbligazione tributaria" in questione. ha, quindi, semplicemente reputato legittimo "il preventivo accantonamento della provvista, destinata a copertura delle somme da versare dall'ente a titolo di irap". da quanto esposto si evince che la p.a. può utilizzare risorse presenti nel fondo de quo per soddisfare l'erario, ma non può ridurre, in questo modo, gli importi comunque formalmente destinati, secondo la regolamentazione interna o la contrattazione collettiva, a retribuire gli avvocati dipendenti. la giurisprudenza amministrativa commentata, allora, consente di confermare le quattro regole base sopra riportate, ossia: 1) la natura retributiva dei compensi in questione; 2) il fondamento nella contrattazione collettiva e nella regolamentazione interna dell'ente pubblico del diritto degli avvocati dipendenti a questi corrispettivi e la non vincolatività della normativa in tema di contabilità pubblica; 3) la possibilità che detto diritto sia ab origine limitato; 4) l'obbligo per la p.a., quale datore di lavoro, di corrispondere all'erario l'irap, con divieto di qualsiasi ritenuta al momento della liquidazione. 6.3) a identiche conclusioni conduce l'esame della giurisprudenza della suprema corte di cassazione. a) viene in rilievo, innanzitutto, cass., sez. l, n. 4681 del 21 febbraio 2024, ordinanza che si è occupata della tematica in esame con riferimento a un periodo anteriore all'entrata in vigore dall'art. 9 del dl n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014. infatti, la fattispecie era disciplinata dall'art. 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 (e, dunque, riguardava il tempo successivo al 31 dicembre 2005, essendo tale disposizione divenuta operativa a fare data dal 1° gennaio 2006) e andava letta alla luce anche dell'art. 27 del ccnl del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 14 settembre 2000. tale ordinanza chiarisce che "nella disamina delle disposizioni contenute nell'art. 27 del ccnl del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 14.9.2000 questa corte ha inoltre evidenziato che tale previsione lascia ampio spazio al potere degli enti, provvisti di avvocatura, di disciplinare la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, fermo il rispetto dei principi contenuti nel rdl n. 1578 del 1933, e, al contempo, affida alla contrattazione collettiva decentrata la sola materia del coordinamento tra le due voci retributive accessorie (i compensi professionali e la retribuzione di risultato: cass. n. 27316/2021)". la decisione, quindi, ha censurato la condotta del comune di lanciano che non aveva né effettuato a priori l'accantonamento ai fini dell'irap né fissato dei limiti ai compensi spettanti ai difensori dipendenti in base ad un regolamento o alla contrattazione collettiva. la pronuncia dimostra che, nel sistema regolato ancora dall'art. 27 del ccnl del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 14 settembre 2000, in assenza della previsione di detti limiti, che conformino ad origine il corrispettivo accessorio dell'avvocato, fissando un tetto massimo allo stesso, l'irap debba essere totalmente sostenuta dalla p.a., eventualmente con risorse proprie. b) si tratta di un approccio che trova ulteriore conferma nell'ordinanza n. 21398 del 13 agosto 2019 di questa sezione, con la quale la s.c. ha espresso il principio così massimato: "l'incentivo, di cui all

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