Gli enti senza scopo di lucro possono svolgere anche attività commerciale e quindi sono assoggettati a tassazione.

Ordinanza sul ricorso iscritto al n. 34246/2019 r.g. proposto da: associazione alfa rappresentata e difesa dall'avv. [omissis] e dall'avv. [omissis], - ricorrente - contro agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall'avvocatura generale dello stato, - controricorrente - avverso la sentenza della comm. trib. reg. umbria, n. 79 del 2019, depositata in data 2 maggio 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere [omissis]. rilevato che 1. l'agenzia delle entrate notificava alla associazione alfa, associazione non riconosciuta senza scopo di lucro, avviso di accertamento con il quale, in relazione all'anno di imposta 2015, constatava lo svolgimento di attività commerciale di rimessaggio di roulette e camper, ed accertava, per l'effetto, ai fini ires, iva ed irap, maggiori redditi ed un maggior volume di affari. 2. avverso l'avviso di accertamento l'associazione proponeva ricorso dinanzi alla ctp di terni, la quale lo rigettava con sentenza confermata in appello. 3. avverso la sentenza della ctr la contribuente propone ricorso per cassazione e l'agenzia delle entrate resiste a mezzo controricorso. considerato che 1. con il primo motivo la contribuente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c.. lamenta che i giudici di appello, «facendo mal governo dell'attribuzione dell'onere della prova», hanno «del tutto omesso di considerare i documenti 6, 7 e 8 allegati al fascicolo di primo grado, attestanti la sussistenza di una vita associativa, l'annotazione nella contabilità dell'associazione delle quote versate dagli associati, necessarie per le attività sociali, e non di canoni di rimessaggio o parcheggio, la realizzazione di molteplici attività sociali. assume che la ctr si è limitata a considerare l'attività di rimessaggio senza tener conto dell'effettiva finalità e della comprovata natura non lucrativa della stessa, esercitata in aderenza agli scopi sociali di cui allo statuto. osserva che il rimessaggio è necessario per consentire ai soci di usufruire dei mezzi utilizzati e perseguire le attività istituzionali dell'associazione. 2. con il secondo motivo denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 33, dpr 29 settembre 1973, n. 633 [ndr. 600], in combinato disposto con l'art. 52 del dpr 26 ottobre 1973 [ndr. 1973 n. 633]. censura la sentenza impugnata per avere disatteso i principi normativi in materia di accertamento fiscale. osserva che dall'esame dell'avviso di accertamento e del processo verbale di constatazione non emergeva alcuna presunzione, tanto meno grave, precisa e concordante, che potesse astrattamente corroborare la fondatezza della contestazione. per l'effetto, deduce l'infondatezza della pretesa tributaria per mancanza di prova e l'illegittimità dell'avviso impugnato. 3. con il terzo motivo l'associazione denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 148 tuir. censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ravvisato l'esercizio di attività commerciale produttiva di reddito imponibile. ribadisce di essere ente senza scopo di lucro, di non essere organizzata in forma imprenditoriale, di riservare i propri servizi esclusivamente ai soci che a propria volta versano regolarmente la quota sociale, di non svolgere alcuna attività di rimessaggio o parcheggio. aggiunge che l'avviso di accertamento affermava l'esistenza di un'attività organizzata in forma imprenditoriale, e quindi di natura commerciale, senza che l'assunto fosse corroborato dal minimo supporto probatorio. 4. il primo motivo, con il quale si prospetta il vizio di omesso esame ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. è inammissibile nell'ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall'art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell'art. 54, comma 2, del dl n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione - per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (cass. 22.12.2016, n. 26774; in senso conforme: cass. ss.uu. 21.9.2018, n. 22430). nella specie, posto che il giudizio d'appello è iniziato nel 2018, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. doppia conforme), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario. 5. anche a voler riqualificare il primo motivo come violazione di legge, sotto il profilo della corretta applicazione delle regole che presidiano la prova in genere e la prova presuntiva in particolare, il medesimo è comunque infondato, come pure è infondato, il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connesso. 5.1. in primo luogo va ribadito che la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. si configura ove il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, ossia attribuendo l'onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. cass. 31.8.2020, n. 18092, cass. 29.5.2018, n. 13395). 5.2. quanto alla prova presuntiva, è noto che il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni gravi, precise e concordanti. il requisito della precisione è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della gravità al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della concordanza, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia - di regola - desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza. il giudice deve articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un'analisi atomistica degli stessi. da ciò consegue che la denuncia in cassazione di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell'inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota; non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di un'inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cass. 21.3.2022 n. 9054). 5.3. quanto a criteri di valutazione della prova, è consolidato il principio che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso. non occorre, invece, che egli dia conto dell'esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito. in altre parole, il giudice di merito non ha l'obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo dato indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce, in base al giudizio effettuato, gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. di conseguenza, il controllo di legittimità è incompatibile con un controllo sul punto, perché il significato delle prove lo deve stabilire il giudice di merito. la corte, inevitabilmente, compirebbe un non consentito giudizio di merito, se, confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie, prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione (cfr. tra le tante, cass. 20.2.2024, n. 4583, cass. 15.9.2022, n. 27250, cass. 11.12.2023, n. 34374, cass. 21.1.2015, n. 961). 5.4. la sentenza impugnata non incorre nei vizi denunciati. la ctr ha ritenuto provata l'attività commerciale rilevando che l'area sulla quale veniva svolta l'attività di rimessaggio era riconducibile ad una serie di associazioni succedutesi nel tempo, ma tutte riferibili ai proprietari del terreno ai quali veniva corrisposto un canone mensile; che in corso di verifica era stato rinvenuto un prezzario e che la presunta quota sociale corrisposta dai soci era corrispondente al prezzario e diversificata negli importi; che non vi era nemmeno prova che i soci pagassero la quota sociale e, oltre a quest'ultima, il corrispettivo per il parcheggio quale remunerazione di un servizio aggiuntivo. ciò posto, deve rilevarsi che tutti gli indizi presi in considerazione nella valutazione della prova presuntiva rivestono il carattere della gravità e sono concordanti tra di loro, oltre che precisi; inoltre, il giudice di secondo grado li ha adeguatamente selezionati e valutati. si tratta, infatti, di elementi sintomatici dell'inesistenza di un'attività commerciale. l'apprezzamento delle prove svolto in sentenza risulta, dunque, esaustivo ed immune da vizi logici. la ctr ha correttamente applicato le regole di ripartizione dell'onere probatorio e della prova presuntiva, giungendo, all'esito della valutazione complessiva di quanto acquisito, alla conclusione che l'ente esercitava attività commerciale. 5.5. la ricorrente, piuttosto, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cass. 4.7.2017, n. 8758). oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa corte non è l'analisi e l'applicazione delle norme, bensì l'apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (cass. 31.5.2022, n. 17744, cass. 5.2.2019, n. 3340; cass. 14.1.2019, n. 640; cass. 13.10.2017, n. 24155; cass. 4.4.2013, n. 8315). 6. il terzo motivo è infondato. 6.1. gli enti di tipo associativo, potendo svolgere anche attività commerciale, non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, ma, per le attività a favore degli associati non considerate commerciali e per le quote associative che non concorrono al reddito complessivo, hanno l'onere di provare i presupposti che giustificano l'esenzione di cui agli artt. 148 e 149 tuir, secondo gli ordinari criteri stabiliti ex art. 2697 c.c. (cass. 23.2.2024, n. 4864, cass. 4.10.2017, n. 23167). 6.2. va disattesa, pertanto, la censura di cui al motivo in esame nella parte in cui assume la violazione dell'art. 184 tuir in quanto ente senza scopo di lucro costituito e sensi dell'art. 36 c.c. per il resto, anche il terzo motivo, pur prospettando una violazione di legge sotto il profilo della sussistenza degli elementi caratterizzanti un'attività commerciale, si risolve in una richiesta di riesame della valutazione dei fatti compiuta dal giudice del merito, preclusa in sede di legittimità. 7. il ricorso va, pertanto, rigettato. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. p.q.m. la corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all'agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.300,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito. ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto

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